non-fiction
Analysis Of An E-Learning Augmented Environment: A Semiotic Approach To Augmented Reality Applications
Hypertextuality
Augmented learning
Total Theatre and the Transformative Potential of Augmented Total Theatre In Arts, Culture, and Education
Towards a definition of multimediality
Is there a mind in this mind?
Le strutture della narrativa ipertestuale
Augmented Total Theatre: Shaping the Future of Immersive Augmented Reality Representations
fiction
C’era una volta… la passione infinita: breve storia del cellulare
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La passione infinita
Lo compriamo, lo vestiamo con colori nuovi, lo coccoliamo, lo ricompriamo sempre più piccolo, sempre più multifunzionale, col maxi-display a colori e videocamera incorporata. Uno non ci basta, ne vogliamo due, tre: per il lavoro, per gli amici, per i pochi intimi. Ormai è talmente parte della nostra vita che soltanto una manciata di irriducibili riesce a farne a meno, e diventa quasi impossibile pensare a un mondo senza cellulari. Eppure, questa mania per il cellulare che, a ben vedere, ha quasi le forme dell’ossessione, è recente, recentissima. Non occorre andare troppo indietro nel tempo per ricordare un’epoca senza cellulari. Bastano dieci anni. A quei tempi lo squillo dei cellulari era un evento raro. Chi li possedeva era guardato con sospetto, fastidio quasi. Che ci faranno? Ci chiedevamo. Con chi parleranno? Che interesse avranno ad essere sempre rintracciabili? In quei tempi lontanissimi i possessori dei primi telefonini ci sembravano i membri di una nuova razza di screanzati; in autobus o in treno facevano squillare e squillare il telefono portatile per far sapere a tutti del loro costoso nuovo giocattolo, e poi iniziavano a deliziarci a voce altissima sui loro fatti privati, che presto privati non erano più. Per non parlare di quelli che gironzolavano per strada chiacchierando da soli a voce alta, gesticolando come a voler spiegare qualcosa a un immaginario interlocutore. Non eravamo ancora abituati agli auricolari, e non si poteva certo immaginare quelle persone impegnate in una semplice conversazione telefonica. Erano ben vestiti, sembravano professionisti, eppure si comportavano come degli stralunati. Oggi, se prendiamo un autobus e un cellulare non squilla, subito pensiamo: chissà perché non c’è campo. Oggi, a giudicare dalle statistiche, gli stravaganti, o gli incoscienti, sembrerebbero invece proprio quelli che il cellulare ancora rifiutano di averlo, o quelli che se ce l’hanno lo tengono quasi sempre spento, e lo dimenticano dappertutto, o ne comprano uno che andrà bene per sempre, perché tanto “serve solo a telefonare”.Oggi nel mondo ci sono un miliardo di telefoni portatili, e se ne vendono 550 milioni all'anno. L'Italia non è seconda a nessuno in quanto a possesso di cellulari. Più del 90 per cento degli italiani ha almeno un cellulare e, fra questi, il 9 per cento arriva a possederne quattro. Nel 2004 in Italia c’erano 48 milioni di telefonini, il che, a ben vedere, tolti i neonati e gli ultraottantenni, fa circa un cellulare e mezzo a testa. Certo, così stando le cose, i pochi irriducibili, quelli che di cellulare non vogliono sentir parlare, se la passano proprio male! Ma quando è cominciata questa rivoluzione che è riuscita a infilare un cellulare e mezzo in tasca ad ogni italiano? In questo caso, dieci anni non sono sufficienti, e dobbiamo andare un po’ più lontani nel tempo. Poco meno di una trentina d’anni per i primi cellulari portatili, poco più di sessanta per i primi telefoni mobili. O ancor prima, quasi cento anni indietro, se proprio vogliamo dar retta alle leggende.
Intorno al 1910, Lars Ericsson, già in pensione dopo aver fondato nel 1876 la società omonima, amava starsene nella sua casa in campagna a trastullarsi coi suoi giocattoli tecnologici, spesso usando il suo preferito, il telefono, per chiacchierare amabilmente con gli amici. Ma Hilda, sua moglie, era di ben altro parere: lei voleva andarsene in giro, in città e fuori città, a viaggiare in lungo e in largo per la Svezia. Così, costrinse il marito a comperare una delle ultime diavolerie della meccanica, un'automobile, che avrebbe facilitato i suoi giri. Ma non le bastava: voleva pure che Lars lasciasse perdere il suo amato telefono per accompagnarla. Lars Ericsson non era entusiasta all'idea di privarsi del telefono, ma non voleva neppure scontentare sua moglie, e allora cercò di raggiungere con lei un compromesso: lui l'avrebbe seguita nei suoi giri in auto, ma in compenso lei gli avrebbe permesso di portare con sé il telefono. Solo che, naturalmente, la tecnologia dei portatili era ben al di là da venire e quindi c'era un problema da risolvere: come far funzionare il telefono anche per strada? Ericsson ricordò che, già da tempo, i tecnici delle compagnie telefoniche testavano le linee arrampicandosi sui pali telefonici e agganciando poi ai cavi dei semplici telefoni portatili.Era nato così il primo telefono mobile ad uso civile.
Prime forme di telefonia mobile Al di là di quanto racconta la leggenda, non è completamente corretto attribuire a Ericsson la paternità del telefono mobile. Certo, lo stesso Ericsson aveva studiato il problema della telefonia mobile e si hanno notizie di altri telefoni mobili da lui costruiti ben prima di quello installato nella sua auto. Infatti, la prima notizia documentata relativa ad un uso civile di telefoni portatili è del 1889, quando alcuni modelli sviluppati dalla Ericsson si cominciarono ad utilizzare durante i lavori di manutenzione delle strade o dei canali. E, naturalmente, anche i militari furono tra i primi a richiedere e usare questi apparecchi mobili. Tant’è che già a partire dal 1890 la Ericsson produsse vari tipi di telefono portatile che vennero acquistati dalla Milizia Svedese; inoltre, dei telefoni da campo trasportabili chiamati "cavalry telephones" vennero esportati in Sud Africa e utilizzati durante la Guerra del Boer tra il 1899 e il 1902. Ma cos’è un telefono portatile se non un telefono che non ha bisogno di fili per poter funzionare? E invece, tutti i modelli di telefoni “portatili” sviluppati da Ericsson in quegli anni, per funzionare dovevano inevitabilmente collegarsi a una linea pre-esistente. E ovviamente, un adeguato sistema di telefonia mobile non poteva certo basarsi sull'utilizzo di pali e ganci, o di qualsiasi altro dispositivo meccanico che, per poter ottenere la linea, richiedesse comunque un collegamento dell'apparecchio telefonico, anche se temporaneo, ai cavi telefonici. D.E. Hughes e il radiotelefono Come si può comunicare a distanza senza utilizzare un collegamento fisico? La cosa, ovviamente, era più facile a pensarsi che a realizzarsi. E infatti, fu soltanto verso la fine del XIX Secolo che si vide l’opportunità di poter cercare una concreta risposta al problema. Anche perché, prima ancora di provare a rispondere a questa domanda, c’erano altri problemi che si dovevano affrontare e risolvere: che cos’è l’elettricità, cosa sono i fenomeni elettromagnetici, che rapporto c’è tra il magnetismo, l’elettricità, la luce? A partire dagli studi sull’elettromagnetismo di Oersted nel 1820 fino all’invenzione del sistema radio messo a punto da Marconi intorno al 1900, molti scienziati in tutto il mondo esplorarono l’universo rivelato con la scoperta dei fenomeni elettrici. Questa moltitudine di studi e lavori sull’elettricità portò alla creazione di sistemi per la conversione di energia meccanica in energia elettrica, sistemi di illuminazione e sistemi di trasmissione di segnali elettrici, fino ad arrivare alla telegrafia e alla telefonia. Così, solo a quel punto, e siamo ormai intorno al 1880, i tempi diventarono maturi per comporre assieme i vari tasselli: i fenomeni elettromagnetici ormai si cominciava a conoscerli, i primi apparecchi telefonici erano già in commercio, gli studi sulle onde radio si moltiplicavano. Era il momento giusto per pensare ad un sistema telefonico senza fili che utilizzasse le onde radio appena scoperte. Una trasmissione che utilizzi onde radio non richiede necessariamente un vero e proprio sistema di radiotrasmissione. Basta prendere un frullatore per accorgersene. Se accendiamo e spegniamo il frullatore vicino ad una radio A.M. vediamo che il segnale prodotto dal frullatore crea un’interferenza nelle trasmissioni radio. In questo senso, il frullatore, pur non essendo un dispositivo di radiotrasmissione, funziona come una sorta di codificatore Morse (acceso/spento) e può essere usato come fonte di comunicazione senza fili. Ed è proprio usando un sistema simile che, intorno al 1880, David. E. Hughes, uno scienziato da molti considerato l’inventore del microfono, scoprì la possibilità di poter trasmettere a distanza dei segnali elettrici senza utilizzare cavi di collegamento tra il dispositivo trasmittente e quello ricevente. Durante i suoi esperimenti sull’elettricità Hughes si accorse che ogni volta che toglieva la corrente a una grossa bobina poteva chiaramente percepire una scarica nel suo apparecchio telefonico posto a distanza dalla bobina. Capì subito che si trovava di fronte a qualcosa di importante, e per studiare meglio il fenomeno costruì un trasmettitore speciale che generava a intervalli regolari un segnale elettrico non modulato (un click). Usando ancora il telefono come ricevitore di quel click, cominciò ad allontanarsi dal trasmettitore andandosene in giro col telefono in mano, prima in casa, poi per strada, cercando di capire la portata di quel suo primitivo sistema di trasmissione. La sua scoperta era fondamentale. Di fatto, possiamo pensare a quel telefono che Hughes si trascinava in giro come il primo telefono mobile della storia. Certo, ancora non si parlava di modulazione del segnale radio, e la portata di quel segnale era piuttosto limitata, e, purtroppo per Hughes, la comunità scientifica del suo tempo non gli riconobbe neppure la paternità della scoperta delle onde radio. Pure, con quella scoperta, Hughes aveva spalancato la porta verso l’era delle trasmissioni radio e della telefonia mobile vera e propria. L’Era delle Radio Trasmissioni
Una volta poste le basi per la trasmissione senza fili di segnali elettrici, ha inizio lo sviluppo della telefonia mobile. A partire dai primi anni del Novecento si moltiplicano le invenzioni e i prodotti con incredibile velocità. Tra i tanti studiosi che si occupano di trasmissioni radio c’è Guglielmo Marconi. È lui a segnare per primo l’inizio della nuova Era; è sua la prima trasmissione a distanza di un segnale radio, effettuata nel 1901 col suo sistema di radio-telegrafia, inviando il segnale attraverso l'Oceano. Ma il vero inizio dell’Era delle Radio Trasmissioni viene però indicato a partire da una storica trasmissione effettuata il 24 dicembre del 1906 da Reginal Fessenden tra Brant Rock, un promontorio del Massachusetts, e alcune navi lungo la costa a circa 11 miglia di distanza. In quel caso, non si trattava più della trasmissione di un singolo segnale radio, ma piuttosto della trasmissione a distanza di un’intera gamma di segnali necessari a riprodurre la voce umana. In quel momento, il telegrafo senza fili si era mutato in un vero e proprio telefono senza fili. [immagine: Reginal Fessenden: “reginal-fessenden.jpg”]A questo punto, se per un istante torniamo alla car-telephone di Ericsson, è chiaro in che senso possiamo ancora pensarla come la prima forma di telefonia mobile ad uso civile. Nessuno, fino a quel momento, aveva utilizzato il telefono a quel modo. Ma d’altra parte, quel tipo di telefono che richiedeva ancora la presenza di cavi per poter funzionare sarebbe inevitabilmente finito nel dimenticatoio. Era mobile e portatile, certo, ma la tecnologia vincente era legata ad altro, era legata alla radio trasmissione. Radiotelefoni mobili per auto
Così come era prevedibile, la telefonia mobile trovò un primo impulso al suo sviluppo per rispondere alle richieste militari, e nello specifico, all’esigenza da parte delle forze militari di poter agilmente comunicare tra reparti senza bisogno di stendere cavi. Ma, ovviamente, l’invenzione del telefono mobile era di certo troppo rivoluzionaria per essere usata soltanto dalle forze militari. E infatti, già durante il primo ventennio del Novecento vennero effettuati moltissimi esperimenti di radio trasmissione in molti paesi del mondo, al punto tale che i vari servizi di radio telefonia che nel frattempo erano nati, spesso creavano confusione e interferenze l’uno con l’altro, così che, da parte di molti governi, compreso quello degli Stati Uniti, si percepì la necessità di un intervento per regolamentare lo sviluppo della nuova tecnologia e l’assegnazione delle frequenze alle stazioni di trasmissione. In ogni caso, era chiaro che, almeno nei primi decenni del secolo, la priorità per l’utilizzo di queste frequenze spettava di diritto alle forze pubbliche e di emergenza e solo in un secondo tempo si pensò di sviluppare un sistema di radio telefonia che coinvolgesse i privati. Questi primi sistemi di radio trasmissione erano unidirezionali e, soprattutto agli inizi, usavano ancora il Codice Morse. Questo accadeva per esempio proprio con le auto della polizia, che ricevevano una comunicazione in Codice Morse, dopodichè uno degli agenti nell’auto cercava la più vicina stazione di telefonia fissa e chiamava la centrale (un sistema che ricorda quello del “paging”, la chiamata su un dispositivo elettronico spesso utilizzata dai medici per le emergenze fino all’avvento dei cellulari). A quanto risulta da alcune testimonianze, uno di questi sistemi di radio telegrafia mobile mono-direzionale fu installato per la prima volta nel 1921 su alcune macchine della polizia di Detroit, mentre un vero e proprio sistema di telefonia mobile bi-direzionale, sviluppato dai Bell Laboratories, risale al 1924. [foto: La prima radio-mobile bi-direzionale, prodotta dai Bell Labs nel 1924, viene installata su un’auto : “radio-mobile-Bell-Labs.bmp”)]
Ad ogni modo, fino a verso gli Anni Quaranta queste installazioni sulle auto rimasero piuttosto sperimentali e di fatto non esisteva un’interconnessione tra le radio-mobili installate sulle auto e un vero e proprio sistema telefonico a terra. Il vero salto tecnologico lo si ebbe solo nel 1935, con l'invenzione della modulazione di frequenza (Frequency Modulation). La modulazione di frequenza ha una caratteristica peculiare: se, nei pressi di una stazione ricevente, arrivano due diversi segnali trasmessi da due diverse stazioni, il segnale più vicino alla ricevente copre il segnale più distante e più debole. E questo fa sì che le trasmissioni in modulazione di frequenza si possano utilizzare, molto meglio delle trasmissioni in modulazione di ampiezza (Amplitude Modulation) su aree estremamente limitate, quali, ad esempio, le città, senza temere le interferenze. E infatti fu proprio grazie allo sviluppo di sistemi di comunicazione FM che fu possibile realizzare, agli inizi degli Anni Quaranta, e sempre negli Stati Uniti, i primi veri e propri sistemi di telefonia mobile che coprivano appena il territorio cittadino e consentivano di effettuare chiamate da mezzi in movimento. Il vero limite di questa soluzione era però rappresentato dal fatto che ad ogni utente doveva essere assegnata una frequenza, e con l’aumentare del numero di utenti, i sistemi così concepiti finivano velocemente col saturarsi. [foto: Un radio-telefono mobile installato su un’auto intorno agli anni ’40: “radio-telefono-auto.bmp”]
Nascita del sistema cellulare
Dall’idea di sistemi locali di telefonia mobile all’idea di una rete estesa composta da molti di questi sistemi locali, il passo è breve. E infatti, intorno alla seconda metà degli Anni Quaranta, quando la telefonia mobile era già una realtà in pieno sviluppo, viene concepita la telefonia cellulare. La prima descrizione a carattere divulgativo di uno schema a cellule radio la si può trovare in un articolo pubblicato sul Saturday Evening Post del luglio 1945, anche se E. K. Jett, l'autore dell'articolo, non parla di un sistema di trasmissione radio a cellule, ma piuttosto "a piccole zone". Prendiamo un vasto territorio e dividiamolo in zone non troppo grandi, spiega E. K. Jett. In ogni zona, al centro, poniamo un sistema di trasmissione radio con una portata del segnale pari al raggio della zona. Allora, proprio a causa della limitata portata del segnale trasmesso all'interno di ciascuna zona, sarà possibile utilizzare simultaneamente le stesse frequenze in diverse zone senza problemi di interferenza. A questo punto, se le diverse radio-zone di un certo territorio vengono composte assieme in una rete, e viene trovato il modo di organizzare e coordinare le trasmissioni radio da una zona all’altra di questa rete, ecco che diventa possibile trasportare un segnale da un qualsiasi punto della rete ad un qualsiasi altro. Molti problemi di natura tecnica, soprattutto quelli relativi alla gestione e coordinazione delle trasmissioni da una zona all’altra della rete, non erano ancora stati risolti, ma l'articolo di Jett mostra chiaramente i principi della telefonia cellulare. E non ci volle molto a risolvere quei problemi e realizzare prodotti commerciali e servizi. Infatti, a partire dalla fine degli Anni Quaranta, la telefonia cellulare venne sempre più utilizzata e si perfezionarono di conseguenza anche i sistemi di telefonia mobile basati sul principio delle radio-cellule. Quel che mancava ancora, e sarebbe mancato per i successivi trent’anni, per trasformare un telefono mobile cellulare da 40 chili in un oggetto da poter infilare in tasca o almeno da tenere agevolmente in una mano, era proprio una tecnologia in grado di togliere peso al telefono e ridurre le sue dimensioni. Fu il transistor ad avviare il processo di miniaturizzazione e preparare l’avvento del telefono portatile. Intorno alla metà degli Anni Sessanta furono introdotti sul mercato i primi apparati telefonici transistorizzati, che consumavano molta meno energia di quelli precedenti ed erano molto più leggeri. Contemporaneamente, venne anche ampliata la banda di trasmissione, come pure furono perfezionati i sistemi di selezione automatica dei canali per le chiamate, così che l’utente potesse comporre direttamente il numero voluto senza dover passare attraverso l’operatore. Ma fu soprattutto un evento a dare una forte spinta alla diffusione della telefonia cellulare: la definizione di uno standard. Infatti, intorno alla fine del decennio, la Federal Communications Commission, rendendo pubblico ciò che venne chiamato l’"Improved Mobile Telephone System", stabilì quali dovevano essere per gli Stati Uniti le frequenze di utilizzo della telefonia e le tecnologie necessarie a costruire una rete cellulare di grandi dimensioni.
Siamo ormai agli inizi degli Anni Settanta e il telefono fisso è diventato un oggetto d’uso comune, tanto negli Stati Uniti che in Europa. Molte famiglie ne hanno uno in casa. Quasi tutti si sono abituati ad adoperarlo senza difficoltà. A questo punto il telefono ha già mutato le abitudini comunicative di chi lo utilizza. Secoli indietro, l’avvento della parola scritta era riuscita a definire una forma di comunicazione mono-direzionale piuttosto singolare, imponendo una separazione di spazio e tempo tra chi scriveva e chi leggeva. Ora il telefono introduce una forma ancora diversa di comunicazione: propone una comunicazione diretta, dal vivo, ma contemporaneamente annulla la distanza tra coloro che si parlano. Le voci di persone lontane, persone difficili da raggiungere, col telefono improvvisamente si avvicinano, si infilano in casa. Questo nuovo modo di parlare rivolgendosi a una voce senza un corpo da guardare è entrato rapidamente a far parte della vita di molti cittadini del mondo occidentale. A questo punto, ci si chiedeva, dopo tale trasformazione epocale nelle modalità del comunicare indotta dall’avvento del telefono, il telefono è diventato un oggetto del quotidiano, senza più sorprese. A questo punto cos’altro ci si può aspettare dai sistemi di telefonia? Agli inizi degli Anni Settanta i telefoni avevano ormai dimensioni sufficientemente ridotte e peso contenuto, e consumavano poca energia; e già esisteva un sistema funzionante di telefonia cellulare mobile, così come un sistema di smistamento automatico delle chiamate. Bastava poco per mettere assieme questi elementi e costruire un prodotto piccolo, leggero, maneggevole e portatile, e facilmente utilizzabile da tutti in tutte le circostanze, al di fuori di case e uffici. E fu proprio quello che fecero, nel 1973, i laboratori della Motorola, alla guida di Martin Cooper: misero assieme i pezzi. Il risultato fu il DynaTac, il primo prototipo di telefono portatile della storia. (Si veda il BOX). Certo, non era portatile nel senso che noi diamo ora a questo termine; pesava più di un chilo, e di sicuro non lo si nascondeva in tasca; in più la sua autonomia era ridotta e il tempo di ricarica eterno. Ma il grande salto era fatto: il cellulare portatile aveva visto la luce. [Foto: Il primo modello di cellulare portatile sviluppato da Martin Cooper: “banana_dyntac_1972.jpg”]
D’altra parte, occorre sempre un lasso di tempo prima che una tecnologia si trasformi in un prodotto commerciale. E infatti sarebbe dovuto passare ancora quasi un decennio prima di poter vedere in commercio telefoni portatili veri e propri. E non bisogna dimenticare che, parallelamente allo sviluppo degli apparecchi telefonici, occorreva anche che venissero costruite le reti di telefonia mobile di tipo cellulare che permettevano l’utilizzo di quegli apparecchi miniaturizzati. [ Foto: Le prime unità portatili erano grandi e pesanti. Nell’immagine, un telefono portatile a valigia prodotto dalla Spectrum Cellular Corporation.: “Spectrum-Cellular-cellphonepool.jpg”]
Negli Stati Uniti un sistema di telefonia cellulare veramente nazionale, denominato Advanced Mobile Phone Standard (AMPS) viene introdotto per la prima volta soltanto nel 1983. Ed è nello stesso anno, a settembre, che arriva sul mercato anche il primo telefono portatile commerciale, prodotto dalla Motorola: il DynaTAC, discendente del primo modello sviluppato da Cooper. Pesa quasi otto etti e costa circa 4000 dollari. Intanto, anche in Europa si andava diffondendo la telefonia mobile, e venivano utilizzati sistemi analoghi all’AMPS. Nel 1981 venne introdotto nei paesi Scandinavi l’NMT (Nordic Mobile Phone), mentre in Inghilterra si sviluppò il TACS (Total Access Communications System), inteso come un’evoluzione dell’AMPS, che successivamente venne adottato anche in Italia, Spagna, Austria e Irlanda. Tutti questi sistemi utilizzavano una tecnologia analogica, che modulava i segnali radio dei telefoni - variando le loro frequenze in maniera continua - e permetteva in tal modo di trasferire i suoni delle voci degli utenti. Tale tecnologia però non era immune da limiti e problemi: innanzitutto, i telefoni basati sull’analogico riuscivano a funzionare solo entro i confini della singola nazione dell'operatore, e non era quindi possibile creare delle reti internazionali di telefonia cellulare. Inoltre, le trasmissioni in analogico si dimostrarono poco sicure, facilmente intercettabili. Infine, dettaglio questo non trascurabile, le SIM card dei cellulari che utilizzavano tali sistemi di telefonia risultavano clonabili senza difficoltà, favorendo truffe e raggiri.
C’erano voluti quasi quarant’anni per trasformare il telegrafo in un telefono di uso domestico, e un’altra trentina per staccare i telefoni dalle abitazioni e portarli per strada. Ma da quel momento in poi la diffusione del telefono cellulare è rapidissima, inarrestabile, e pervasiva, e neppure le limitazioni nell’utilizzo di telefoni portatili legati alla tecnologia analogica riuscirono a frenare questa diffusione. A partire dagli Anni Ottanta fu però chiaro che i sistemi a tecnologia analogica erano sempre meno in grado di gestire efficacemente il crescente numero di utenti interessati alla telefonia mobile, e quindi quei sistemi analogici andavano sostituiti con sistemi con caratteristiche diverse e con migliori prestazioni. La risposta fu: digitale. I vantaggi dei sistemi digitali erano innegabili, in quanto permettevano una codifica della voce in sequenze di bit che venivano poi inoltrate attraverso la rete radio-telefonica a velocità piuttosto elevate (fino a 9600 bps). Inoltre, contrariamente a quanto accadeva con i sistemi analogici, la trasmissione digitale rendeva possibile la criptazione dei dati, così da assicurare comunicazioni molto più sicure, e una rapida riconversione dei dati in segnale vocale al momento della ricezione. Per favorire la crescita della tecnologia telefonica mobile digitale si cercò innanzitutto di definire uno standard europeo che favorisse la comunicazione tre le diverse nazioni, abolendo quindi, almeno da un punto di vista telefonico, i confini nazionali imposti dal sistema TACS. Nel 1982 il compito di specificare tale standard venne affidato al Groupe Spécial Mobile, un gruppo di studio composto da ventisei compagnie telefoniche nazionali e interno alla Conferenza Europea delle Poste e delle Telecomunicazioni (CEPT). A metà degli Anni Ottanta il GSM stabilì di utilizzare per la nuova tecnologia cellulare digitale due bande di frequenza: 890-915 MHz. e 935-960 MHz.. E visto che era stato il Groupe Spécial Mobile a definire lo standard, si pensò di chiamare quello standard con l’acronimo del gruppo (GSM) e solo successivamente il nome venne modificato in Global System for Mobile communications, riuscendo così a mantenere invariato l’acronimo. Era iniziata l’era del GSM, della diffusione di massa del cellulare, e della trasformazione di un oggetto di piccole dimensioni in un grande oggetto di culto e compagno di vita per centinaia di milioni di persone. WAP e GPRS: il GSM incontra Internet
Non ci volle molto prima che il GSM diventasse lo standard di mercato a livello europeo. Oltre a risolvere molti dei problemi legati all’analogico, e migliorare quindi la qualità delle comunicazioni via telefono mobile, il GSM riusciva anche a gestire un numero molto superiore di utenti e offrire a quegli utenti servizi aggiuntivi impossibili con i sistemi TACS. La prima versione della rete GSM fu presto sostituita da una versione perfezionata chiamata GSM 1800 o DualBand. Questa nuova versione era completamente compatibile con il primo sistema GSM, ma lavorava su frequenze più alte (attorno ai 1800 MHz), limitando così il raggio d'azione dei segnali e favorendo la propagazione del segnale all'interno degli edifici, la qual cosa si dimostrò un’ottima soluzione per le zone ad alta densità abitativa. Nel periodo che va dal 1991 al 1994, il GSM era essenzialmente caratterizzato da servizi di telefonia, trasferimento di fax e Short Message, ed è soltanto nel 1997 che si giunge finalmente ad una gamma più ampia di servizi evoluti, tra cui il WAP (Wireless Application Protocol) e il roaming internazionale. L’introduzione della tecnologia WAP è di fondamentale importanza per l’evoluzione del cellulare. Il WAP infatti non si limita solo a migliorare la qualità dei servizi offerti, ma porta a un sostanziale cambiamento ed estensione nella tipologia dei servizi. Con il WAP diventa possibile integrare per la prima volta la rete mobile con un’altra grande rete che in quegli anni stava sempre più diffondendosi su scala mondiale: Internet. Da quel momento in poi, tramite la tecnologia WAP si possono leggere le proprie mail sul cellulare e si può anche navigare su alcuni siti Web. [Immagine: lo schema del WAP: “wap_structure.gif”]
L’integrazione tra telefonia e Internet è appena agli inizi ed è ovvio che il WAP sia ancora una tecnologia limitata. E il suo limite maggiore è che per funzionare deve essere implementata sia dal cellulare, sia dai siti Web cui si accede, che vanno appositamente formattati per la lettura da cellulare. Ciò significa che non tutto ciò che è su Internet è visibile tramite un cellulare WAP. Così, è solo intorno al 2000, con l’introduzione di un nuovo servizio, il GPRS (General Packet Radio Service), che la connessione tra cellulare e Internet diventa ottimale. Il sistema GPRS diventa lo standard avanzato per la telefonia mobile. Con il GPRS aumenta la velocità di trasmissione dati (che passa dai 9.6 Kbps ai 64 Kbps) e, conseguentemente, la varietà e quantità di dati che è possibile trasmettere. Questo permette un accesso più ampio ai siti Web, i quali non hanno più bisogno di essere formattati ad hoc. Infine, il GPRS introduce un cambiamento sostanziale nella filosofia di connessione tra cellulare e Internet: l’utente paga in proporzione alla quantità di dati scaricati sul proprio cellulare e non più in proporzione al tempo di connessione, come accadeva invece utilizzando il WAP.
Il WAP ha spalancato le porte all’uso di Internet via cellulare e il GPRS ha perfezionato le modalità dell’interazione tra le due grandi reti. Ora, in una fase di telefonia mobile ormai matura, con centinaia di milioni di utenti di cellulari nel mondo, diventano più chiare e definite le esigenze di questi utenti: certamente, vogliono utilizzare il proprio cellulare come un terminale portatile per collegarsi a Internet in modalità piena e veloce. Ma non soltanto. Si aspettano anche servizi di telefonia avanzata. Il che significa, inevitabilmente: interazione e multimedialità. Il che, tradotto in tecnologia da cellulare, diventa Universal Mobile Telecommunication System (UMTS) il nuovo standard di sistema multimediale mobile. L’UMTS è frutto di uno studio portato avanti negli ultimissimi anni dall'Unione Internazionale Telecomunicazioni "IMT-2000", e indica una tecnologia avanzata per la comunicazione mobile 3G (di terza generazione). L’UMTS rende possibile l'interazione con network wired (fissi) e la condivisione per il roaming internazionale e fornisce servizi sia in banda stretta che larga (bandwith on demand), con una qualità costante su qualsiasi ambiente. In tal modo diventa possibile fare acquisti direttamente dal cellulare, o si possono registrare e spedire via email brevi filmati, e si può scaricare musica con un livello di qualità audio paragonabile a quella di un cd, o giocare in video-tornei, o guardare i videoclip o i concerti e i gol della squadra del cuore, o un intero programma televisivo. Basti pensare che in Italia vari operatori hanno già chiuso accordi con i principali telegiornali (con le offerte dei vari operatori si possono ricevere news dall'Ansa, dal Sole 24 Ore, da Rainews24, dal Tg5). E poi ci sono poi i cartoni animati di Cartoon Network o i filmati sexy di Playboy, ma anche trasmissioni di successo come il "Grande Fratello", "Zelig" o il "Festivalbar". E non bisogna dimenticare che si può ancora utilizzare il telefonino persino per parlare, comunicare, per sentirsi più vicini, chiacchierando dal vivo e guardandosi negli occhi. Tutto questo nel proprio cellulare, attraverso il cellulare, trasformato ormai in un concentrato di super-tecnologia, un potente micro-computer che ci portiamo dietro come fosse una seconda pelle tecnologica che ci mette in contatto immediato con molte persone e cose del mondo, così che anche il mondo ci appare un po’ più piccolo. A questo punto, non vi sembrano infinitamente distanti quegli anni in cui Hilda Ericsson appendeva due pali di legno ai cavi delle prime linee telefoniche per soddisfare la bizzarra mania di suo marito Lars che voleva usare a tutti i costi quell’ingombrante apparecchio a manovella per sentirsi quasi a casa, e poter ascoltare la voce dei suoi amici lontani? |
rodolfo murador
ottimo