non-fiction
Augmented learning
FotoScambio
Protected: Augmented Learning – The development of a learning environment in augmented reality
C’era una volta… la passione infinita: breve storia del cellulare
Towards a definition of multimediality
Is there a mind in this mind?
Nota critica: Walter J. Ong – Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola
The Shaping of Hypertextual Narrative
fiction
Patagonia: dancing with the icebergs
L'avvicinamento al fronte del ghiaccio. Lago Argentino, Patagonia. Estate. Freddo. Inverno. Il ghiaccio è celeste, trasparente, brillante, ma non è una questione di luce. E' per via della pressione, dicono. In realtà non so capire perché la pressione trasformi il bianco in blu.
Si parte presto, è un'alba gelata. Guanti, giacca a vento, cappuccio. La punta più estrema del mondo non è lontana da qui, basterebbero poche ore d'auto per arrivare al mare, e dopo il mare c'è un altro mare fatto di montagne di ghiaccio, di bianco, di freddo.
Si parte presto, è un'alba gelata. Guanti, giacca a vento, cappuccio. La punta più estrema del mondo non è lontana da qui, basterebbero poche ore d'auto per arrivare al mare, e dopo il mare c'è un altro mare fatto di montagne di ghiaccio, di bianco, di freddo.
Si va verso l'altra sponda del lago, dove una specie di fiume congelato arriva dalle cime delle montagne fin dentro l'acqua.
Ci avviciniamo con lentezza. Il sonar del battello vede le costruzioni di ghiaccio sotto la superficie dell'acqua. Fuori un terzo, due terzi sono dentro. Esce il sole, l'aria si scalda un poco, arriva la luce. Procediamo aggirando grandi blocchi di ghiaccio. Ci giriamo attorno come se danzassimo.
Passa il tempo e i chilometri, e aumentano le dimensioni delle costruzioni di ghiaccio. Piccole lastre di ghiaccio vaganti sull'acqua diventano stanze, poi case, poi palazzi, fino a sembrare isole.
Intanto l'acqua si fa fredda, presto è crosta gelata. La prua del battello spacca quella crosta. Frastuono di vetro infranto. Riflessi di luce. Avanziamo ancora e ancora, fin quando c'è il fronte del ghiaccio in lontananza.
Come poter descrivere quel muro compatto, e blu, che si avvicina? Semicerchio. Immobile. Apparentemente immutabile. Potente. Spaventoso.
L'altezza si intuisce solo quando siamo sotto e dobbiamo tirare su la testa, in alto. Trenta metri, forse quaranta. Noi col battello restiamo nei paraggi. Avvicinarsi troppo non è possibile. Un crollo del fronte del ghiaccio e l'onda d'acqua addosso alla barca sarebbe fatale. Travolti. Morti. Tutti sepolti nel ghiaccio e dentro l'acqua. E' già successo. Così rimaniamo ad ammirare le creste di ghiaccio in quella semi-distanza. A motore spento. In silenzio. Fermi noi, fermo il fronte del ghiaccio. Da lontano arrivano suoni: rombi di tuono, scricchiolii, il fruscio del moto lentissimo del fiume di ghiaccio che si spinge in avanti in cerca di uno sbocco nell'acqua. Se fossimo fortunati vedremmo il muro di ghiaccio spaccarsi, cadere, tuffarsi per infrangere la crosta d'acqua gelata e infilarsi sott'acqua, e poi riemergere un poco. Blu e bianco.
Ma non siamo fortunati. Non al punto da poter ammirare quel tuffo.
Ma siamo lì, davanti a uno spettacolo indicibile. Direi che è sufficiente...
Ci avviciniamo con lentezza. Il sonar del battello vede le costruzioni di ghiaccio sotto la superficie dell'acqua. Fuori un terzo, due terzi sono dentro. Esce il sole, l'aria si scalda un poco, arriva la luce. Procediamo aggirando grandi blocchi di ghiaccio. Ci giriamo attorno come se danzassimo.
Passa il tempo e i chilometri, e aumentano le dimensioni delle costruzioni di ghiaccio. Piccole lastre di ghiaccio vaganti sull'acqua diventano stanze, poi case, poi palazzi, fino a sembrare isole.
Intanto l'acqua si fa fredda, presto è crosta gelata. La prua del battello spacca quella crosta. Frastuono di vetro infranto. Riflessi di luce. Avanziamo ancora e ancora, fin quando c'è il fronte del ghiaccio in lontananza.
Come poter descrivere quel muro compatto, e blu, che si avvicina? Semicerchio. Immobile. Apparentemente immutabile. Potente. Spaventoso.
L'altezza si intuisce solo quando siamo sotto e dobbiamo tirare su la testa, in alto. Trenta metri, forse quaranta. Noi col battello restiamo nei paraggi. Avvicinarsi troppo non è possibile. Un crollo del fronte del ghiaccio e l'onda d'acqua addosso alla barca sarebbe fatale. Travolti. Morti. Tutti sepolti nel ghiaccio e dentro l'acqua. E' già successo. Così rimaniamo ad ammirare le creste di ghiaccio in quella semi-distanza. A motore spento. In silenzio. Fermi noi, fermo il fronte del ghiaccio. Da lontano arrivano suoni: rombi di tuono, scricchiolii, il fruscio del moto lentissimo del fiume di ghiaccio che si spinge in avanti in cerca di uno sbocco nell'acqua. Se fossimo fortunati vedremmo il muro di ghiaccio spaccarsi, cadere, tuffarsi per infrangere la crosta d'acqua gelata e infilarsi sott'acqua, e poi riemergere un poco. Blu e bianco.
Ma non siamo fortunati. Non al punto da poter ammirare quel tuffo.
Ma siamo lì, davanti a uno spettacolo indicibile. Direi che è sufficiente...