LEZIONI VIRTUALI: TOPPE ELETTRONICHE
SU UN SISTEMA EDUCATIVO IN CRISI?

SERGIO CICCONI

E' ormai difficile negare il declino del sistema educativo americano, sempre piu' ingolfato dall'applicazione di modelli pedagogici spesso incentrati sull'accumulo quasi irriflessivo di grandi masse di informazioni. E' una costatazione questa su un fenomeno preoccupante che gli addetti ai lavori -- insegnanti, accademici, sociologi, leaders politici -- non provano neppure piu' a nascondersi. E dalla costatazione, ovviamente, nasce la necessita': c'e' l'impellente bisogno di rinvigorire tale sistema educativo con l'introduzione di modelli d'insegnamento che possano fornire diverse e piu' effettive modalita' di interazione tra insegnanti e studenti, tra studenti e materie studiate. In breve: occorre cambiare la struttura e i contenuti dei corsi scolastici e universitari cosi' da renderli piu' adeguati a produrre individui capaci di far fronte alle esigenze di una cultura elettronica che si affaccia sul Terzo Millennio.

Rinnovamento e' parola chiave quindi. Ma cosa si e' fatto, cosa si fa concretamente per indurre tale rinnovamento nel sistema educativo americano? Sicuramente la tecnologia dell'informazione elettronica si prefigura come il motore adeguato per il grande salto di qualita'. Sulla base di progetti piu' o meno consapevoli, molte, se non tutte le universita' americane hanno gia' da anni investito forti capitali nelle nuove tecnologie, allestendo computer rooms e istituendo servizi di rete nei campus, cosi' da affiancare alla tradizionale interazione tra insegnante e studente quella elettronica tra uomo e macchina. Questa introduzione di quelle che potremmo definire in senso ampio come "facilitazioni informatiche" e' sicuramente stato un primo passo verso l'acculturazione tecnologica capillarizzata, una condizione essenziale affinche' la logica che organizza lo scambio dell'informazione elettronica si sostituisca gradualmente a quella piu' classica e a volte stanca logica alla base dello scambio di informazione prevalentemente cartacea. Pure, non sembra che l'alfabetizzazione informatica su larga scala produca di per se', spontaneamente e quasi magicamente, la soluzione alla crisi educativa americana. Anzi, a volte si ha l'impressione che l'incremento di alfabetizzazione elettronica produca, come sgradito effetto collaterale, una dealfabetizzazione di altro genere, una perdita di capacita' di pensiero critico nei confronti di un sistema sociale in veloce mutamento proprio a causa dell'alfabetizzazione elettronica. In altre parole, non sembra troppo lontana dal vero l'idea che, soprattutto nei settori scientifici, sempre piu' si sa cosa fa la macchina, e sempre meno si comprende a cosa serva cio' che la macchina fa.

Questo il contesto piu' ampio. Ed e' tenendo a mente tale contesto che si dovrebbe guardare allo spirito positivo con cui e' stato pensato l'IBM Writing Project, studio pionieristico nel suo genere, avviato da ormai un anno alla University of Florida. Nell'introduzione a The Network Writing Environment at the IBM Writing Project Mike Conlon, direttore dell'Information Resources and Technological Programs dell'universita', ci dice che "il progetto e' il risultato di uno sforzo combinato tra IBM e University Center for Excellence in Teaching della University of Florida. Si sono create 5 aule con trenta computers collegati alla rete. Il progetto integra l'uso di computers, ipermedia, conferenze elettroniche, scrittura e revisione di gruppo in ambienti virtuali, gli strumenti di Internet e l'accesso alla biblioteca virtuale." Queste poche parole sono sufficienti a sintetizzare l'idea alla base del progetto: inserire il computer nell'ambito umanistico, solitamente diffidente, anche negli States, nei confronti delle tecnologie avanzate e del loro presunto potere di deumanizzazione. Piu' in particolare l'IBM Writing Project si propone di identificare e descrivere i modelli che governano l'insegnamento e l'apprendimento in corsi universitari tradizionali, e studiare poi i mutamenti nelle strutture di tali modelli una volta che insegnamento e apprendimento vengano praticati all'interno di ambienti in cui la manipolazione elettronica di informazioni gioca un ruolo primario.

Luogo di partenza dell'analisi sono i Writing Courses, corsi di scrittura -- creativa, tecnica, critica-- popolari da sempre negli States, e obbligatori in molte delle universita' americane. Secondo una tradizione ormai assestata, in tali corsi si leggono e commentano testi (letterari e non, stampati o prodotti dagli studenti) e si analizzano specifiche tecniche di scrittura e composizione. A casa poi gli studenti scrivono altri brevi testi sui testi letti. E cosi' via, attraverso un processo di costante feedback tra studenti e insegnanti. Ma che accade, ci si e' chiesto, se d'improvviso quei testi sui testi vengono scritti in classe, se carta e penna sono sostituiti da una tastiera e dallo schermo di un computer, se il computer e' collegato in rete, se la rete diventa il luogo privilegiato per lo scambio di informazioni non solo verbali ma anche e soprattutto multimediali? Cosa cambia nel rapporto tra insegnanti e studenti quando il computer non e' piu' semplice strumento per velocizzare un processo gia' noto di composizione e di scrittura e di analisi testuale, ma diventa una membrana-filtro tra educatore e studente, un medium potente che impone un modo interamente diverso di organizzare i pensieri, e di conseguenza di intendere la lettura, la scrittura, l'interazione?

In classe con Internet e MOO.
Come insegnante di uno di questi corsi certamente non mi e' difficile entrare in una delle 5 aule e poi nello spazio piu' etereo della rete per proporre uno sguardo ravvicinato a quanto accade, e cercare poi alcune risposte. Virtualmente il lettore puo' seguirmi, come farebbe uno studente-navigatore iscritto al corso. Dopo il login di rito da uno dei terminali della rete locale, la prima schermata del sistema X-Windows e' quella con la toolbar, che permette l'accesso alle varie finestre con gli strumenti sopra menzionati: word processors, email, telnet, ftp, talk, Netscape, news, biblioteca virtuale, programmi per manipolazioni di immagini, un editor di HTML. E poi c'e' MOOville _una versione virtuale (verbale) dell'edificio in cui si trovano le aule computerizzate_ dove insegnanti e studenti si incontrano (pur se solo verbalmente e tramite le loro personae virtuali) e praticano la conversazione multipla (scritta) su argomenti pertinenti al corso, o giocano a costruire e manipolare (scrivendo) i piu' disparati oggetti (lavagne fatte di scrittura su cui scrivere, papers da leggere, robots parlanti, le figure dei sogni, stanze-tunnel che saltano in spazi n-dimensionali, ecc..). Il programma del corso e' in WWW, visitabile da chiunque in classe, o a casa via modem; molti dei testi assegnati sono accessibili in rete; i lavori multimediali degli studenti sono scaricati in WWW in forma ipertestuale; l'insegnante puo' correggere i testi via e-mail; la lavagna e' quasi interamente sostituita da uno schermo a parete che riproduce per la classe i testi, le immagini, gli schemi esplicativi presenti nel monitor dell'insegnante; al tradizionale dialogo in classe si aggiunge quello rapido via e-mail. In breve: l'acquisizione, la manipolazione, la ri-produzione e lo scambio di informazioni non piu' solo verbali, l'interazione tra insegnanti e studenti, tutto cio' avviene dentro, attraverso, tramite l'ambiente creato dal computer.

L'uso integrato degli strumenti offerti nelle aule-laboratori lascia intravedere molte nuove direzioni da esplorare per lavorare con la scrittura. Scrivendo con talk, con e-mail e soprattutto con MOOville ci si dovrebbe accorgere che la parola elettronificata diventa fluida, tende a favorire l'interazione e il dialogo. I navigatori-studenti, non piu' vincolati da formati rigidi da seguire nella composizione, dovrebbero trovarsi piu' a loro agio con l'atto dello scrivere. La possibilita' di recitare ruoli in MOOville e muoversi come all'interno di un videogioco dovrebbe stimolare negli studenti la componente ludica dello scrivere, come pure la riflessione sul concetto di identita' come costruzione sociale. L'accesso alla libreria virtuale e ancor piu' la navigazione in WWW enormemente dovrebbe facilitare la possibilita' di selezionare informazioni dalla natura piu' disparata, di tagliarle, ricontestualizzarle e comporle in nuovi mosaici ipertestuali multimediali. E tutto cio' sicuramente tende a sgretolare quelle distinzioni proposte da una cultura moderna e pre-ciberspaziale tra stili e generi, tra narrative lineari e non-lineari, tra fiction e non-fiction, tra meta-fiction e hyperfiction, favorendo cosi' lo sviluppo di nuove forme di pensiero e di composizione e di scrittura, possibili solo in un ambiente generato dal computer.

Una toppa elettronica in un sistema educativo in crisi?
Ovviamente ci sarebbe molto di piu' da dire. Ma anche sulla sola base di tale descrizione necessariamente superficiale delle possibilita' offerte da un corso di scrittura computerizzata, si potrebbe pensare che la macchina elettronica inserita nelle humanities venga veramente a costituirsi come l'elemento cardine attorno al quale ruotera' presto un nuovo ed efficace sistema educativo. Eppure e' inevitabile porsi anche un'altra domanda: e' tutt'oro cio' che luccica? E' veramente questa la risposta sul come attuare la rivoluzione necessaria alla rifondazione di un sistema in crisi?

Non e' facile a dirsi. L'esperimento partito alla University of Florida e' ancora in corso, e non e' logico affrettarsi a trarre conclusioni. Ma alcune brevi considerazioni su quelli che sono i risultati parziali, i successi, gli insuccessi del progetto sono certamente opportune. Indubbiamente, questi corsi di "scrittura elettronica" sembrano costituire un fattore positivo ed essenziale all'interno del processo di ristrutturazione del sistema educativo americano. D'altra parte, un anno di esperienza nell'insegnamento di tali corsi mi suggerisce la cautela. A rischio di suonare voce solitaria e stonata nel coro di coloro (e sono tanti) che ripongono cieca fiducia nella magia dell'educazione computerizzata, mi sembra di poter affermare che ancora esiste un largo vuoto da colmare tra la teoria e la prassi, tra i messaggi, in rete e non, di alcuni profeti della pedagogia elettronica (spesso ingegneri che tutto sanno della macchina e ben poco dell'utente, o umanisti-decostruzionisti col prurito della molteplicita' a tutti i costi) e quello che gli studenti sanno fare, vogliono fare, possono fare, capiscono. E quel vuoto non e' semplicemente colmabile con l'aggiunta di computer collegati in rete dentro a un'aula universitaria. La soluzione sul come ristrutturare un sistema educativo in crisi mi pare debba ricercarsi su basi piu' solide, altre, non puramente interne al sistema educativo, ma presenti dentro a un piu' ampio contesto sociale che la scuola soltanto in parte contribuisce a definire.

Gli spots dell'IBM che martellano gli schermi televisivi americani (quella stessa IBM che, con spirito opportunamente filantropico, ha investito vari miliardi per sponsorizzare il Writing Project) ci mostrano bambini prodigio che insegnano a mamme stupefatte i segreti del multitasking e dell'internetworking. Ma la realta' appare diversa. Contrariamente a quanto vorrebbero indicarci quegli spots e quell'immagine-mito secondo la quale gli Stati Uniti sono la Mecca delle comunicazioni elettroniche, gli studenti americani (neppure ventenni) che si affacciano su questi laboratori di scrittura elettronica hanno spesso lo stesso sguardo spaventato e la paura della macchina che incontriamo in quelle generazioni, non certo di ventenni, che si dimostrano piu' sorde e immuni ai mutamenti introdotti dalle nuove tecnologie. Non e' raro che quegli studenti si arrabattino per ore attorno alla costruzione di una semplice pagina multimediale da scaricare in rete, e che, cosa ben piu' importante, spesso si dimostrino lontani anni luce da quella logica multimediale, non-lineare (o multi-lineare), interattiva e virtuale richiesta dal paradigma elettronico. Cosi' che lo scarto tra quanto si potrebbe fare col mezzo elettronico e quello che effettivamente si riesce a fare e' grande. E non si puo' evitare di pensare che tale scarto esiste perche' oltre le mura di questi pochi corsi sperimentali, ancora troppo facilmente si costruiscono individui e si organizza la realta', quella `vera', quella quotidiana, secondo l'altro paradigma, quello Hollywoodiano dell'eroe aggressivo e vincente e poco incline alla riflessione, un paradigma semplice e lineare nella sua struttura, solido e irrefutabile nei suoi contenuti.

E poi c'e' l'altro grande problema che, stranamente, non viene mai affrontato nelle frequenti discussioni sui canoni pedagogici da adottare per il futuro dell'educazione americana. Possiamo dare un nome al quel problema: l'exposition theory, la teoria dell'esposizione, popolare criterio per strutturare l'apprendimento. La teoria enuncia la massima: piu' si accumulano informazioni piu' si sa, e piu' si sa meglio si sopravvive nella sempre piu' difficile e competitiva lotta al posto di lavoro. Poco si riflette pero' sul fatto che tale logica tende ad adombrare la distinzione tra qualita' e quantita', riducendo la qualita' di quanto e' conoscibile a un aggregato di numeri: numeri di parole, di concetti, di forme, di modelli, di informazioni che spesso vengono acquisite con voracita' quasi ossessiva e poi malamente digerite, e presto dimenticate. Cosi', l'apparato teorico che ha permesso la realizzazione di questi corsi di scrittura elettronica e' certamente da valorizzare ed esplorare. Le promesse, lo si e' visto, sono molte. Ma un noto e mai tramontato pragmatismo americano tende in parte a vanificare le aperture proposte dalle teorie. L'exposition theory e' importata quasi immutata dentro alle aule dove si praticano le scritture liquide e multimediali. E cio' rende tali corsi da un lato troppo tecnici per essere definibili come umanistici, dall'altro troppo densi e al contempo troppo veloci per essere poco piu' che uno sguardo acritico e sfocato su un mondo in veloce evoluzione. Ancora una volta ci si domanda troppo come usare la macchina, e troppo poco a cosa serva quella macchina che si apprende ad usare, o come possa la macchina favorire lo sviluppo di nuove forme di pensiero adeguate a produrre testi nuovi, o a leggere i vecchi testi con occhio nuovo. Ma il tempo e lo spazio per porsi domande come queste e per cercare risposte non e' facile ritagliarlo dentro al tempo e allo spazio dei corsi di electrowriting, il cui scopo ultimo, esternamente imposto, e' ancora quello di accumulare quantita': di parole, di concetti, di informazioni volatili. Cosi', la logica del cyberspace non sembra veramente emergere dai testi incerti degli studenti; quei testi sono troppo simili a quegli altri scritti da studenti che, ancora ignari del mutamento di fine millennio, seguono soddisfatti i piu' tradizionali corsi di scrittura. A questo punto, se mi e' permesso trarre una conclusione dopo l'esperienza diretta con i corsi di electrowriting, allora direi: per il momento, tali corsi sembrano piu' semplicemente luccicanti toppe elettroniche appicciate su un vecchio vestito educativo che solo il futuro, speriamo, vedra' appeso all'armadio.