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Jean de Boneville, nel suo Storie di specchi: dal labirinto al rizoma illumina i lettori sul progetto per un
labirinto di luce che Leonardo non riuscì mai a realizzare: la Stanza
Ottagonale con pareti a specchio. Pare che mentre Leonardo indagava
sulla natura delle immagini speculari, riprendendo il cerchio semicircolare
di Tolomeo, disegnò un intreccio di riflessi e un labirinto: otto enormi
specchi rettangolari uniti assieme a comporre un mondo senza confini.
Incapace di costruirsi da sé lastre riflettenti grandi abbastanza da
soddisfare le sue esigenze abbandonò l’idea. Però scrisse: “Quel omo
che si troverà [al suo interno] potrassi vedere per ogni verso infinite
volte e con infinita bellezza. Perché non vede la immaginazione più
grande eccellenza qual vede l’occhio riflesso.”
A quel Leonardo manipolatore di luce, che nell’immagine
dell’occhio riflesso scopre l’immaginazione, vorrei sottrarre la forza
dello sguardo verso il futuro. Vorrei immaginarlo come cercatore dell’infinito
dentro al finito. Mi piacerebbe riprendere quell’ideale marchingegno
leonardesco per la generazione di labirinti e lì trovarvi l’ispirazione
per sognare una visione: un frammento d’immaginazione per il terzo millennio.
Vorrei generare per il lettore uno spazio per un’immaginazione che non
rifugga la sfida della tecnologia, ma che piuttosto l’accarezzi; un’immaginazione
che nasca calda dentro alla tecnologia e da lì fiorisca e si
moltiplichi. Come un riflesso nella stanza di specchi.
Tentiamo un esperimento di immaginazione: guardiamo,
dall’alto, all’ottagono di specchi di Leonardo. Al centro della stanza
osserviamo un tavolo circolare, una sedia e tracce vistose di tecnologia:
otto elaboratori a computazione parallela connessi l’un l’altro. In
semicerchio attorno al tavolo ampi monitor al plasma su piedistalli
di metallo. Otto. Infine un uomo seduto, collegato ai computer tramite
interfacce a immersione.
L’uomo è Mangiafuoco, burattinaio di avatar. Nella
religione Hindu, l’Avatar è l’incarnazione del Dio: la manifestazione
di un’idea o di una realtà superiore. Per parallelo imperfetto, nei
mondi digitali gli avatar indicano le manifestazioni più terrene di
un creatore umano, le incarnazioni di un essere corporeo dentro a un
mondo di informazioni. Nel nostro caso l’uomo si è multicopiato negli
otto elaboratori a computazione parallela, incarnandosi in otto avatar
distinti. Ogni avatar costituisce una variante semplificata della personalità
del suo dio-creatore. Dopo la creazione, il dio ha scelto di manifestare
i suoi otto avatar in un identico mondo virtuale. Chiamiamolo Aleph.
L’uomo ha digitalizzato la sua immagine in 3D, e poi ha nutrito i computer
con quell’immagine, così che ora sofisticati software di grafica la
riproducono, perfetta, negli avatar. Altri software euristici guidano
gli avatar nello spazio del mondo simulato in azioni semi-indipendenti:
mimano nei dettagli le espressioni facciali, i gesti e la postura, il
linguaggio non-verbale, le configurazioni prossemiche del creatore.
I computer eseguono il loro lavoro con perfezione.
La potenza di calcolo è enorme; la risoluzione grafica di Aleph e degli
avatar in Aleph è altissima, ed è impossibile distinguere l’aspetto
degli avatar dell’uomo, vivi in Aleph, da una delle immagini dell’uomo
riflesse negli specchi della stanza di Leonardo nella quale l’uomo conduce
il suo esperimento.
L’uomo ha organizzato un incontro tra i suoi burattini
in un sotto-spazio di Aleph che è una copia della stanza degli specchi
di Leonardo, e ora, mentre l’osserviamo, sta inviando comandi agli avatar
attraverso le interfacce a immersione. Ogni avatar nella stanza degli
specchi su Aleph vede gli altri avatar attorno, e vede molteplicità
di copie di sé riflesse negli specchi della stanza virtuale, e vede
molteplicità di copie degli altri avatar riflesse negli specchi della
stanza virtuale. Avatar e riflessi di avatar riproducono, da molteplicità
di prospettive, molteplicità di varianti del comportamento dell’uomo-dio.
Ciascun monitor nella stanza degli specchi dove siede l’uomo ai computer
che controlla l’incontro degli avatar nella stanza degli specchi in
Aleph riporta l’incontro con gli occhi di uno degli avatar. Ogni monitor
produce molteplicità di copie di se stesso nelle pareti a specchio della
stanza di Leonardo e quindi molteplicità di varianti di avatar e riflessi
di avatar generati nella stanza degli specchi di Leonardo simulata in
Aleph.
Si è detto che gli avatar vedono. In realtà
è ovvia la distanza tra il loro concetto di vedere e il nostro. Gli
avatar sono soltanto marionette, scimmie impegnate nel simulare semplici
varianti visibili del comportamento complesso del loro dio. Per loro
vedere è soltanto riprodurre. Così tale incontro di avatar possiamo
pensarlo come un tentativo maldestro dell’uomo di rappresentare frammenti
di vita su un palcoscenico virtuale. Ma per l’uomo ciò è già sufficiente.
E anche per noi.
Guardando meglio l’uomo condurre l’esperimento ci
accorgiamo che è perplesso. Sta riflettendo sul problema insolubile
dell’enumerazione, sia pure parziale, di un insieme infinito. Sta pensando: le copie sono riflessi lievissimi della mia complessità. Sono scatole
nere. Dietro di loro, tra le pieghe del software che li anima, c’è ben
poco, forse nulla, di umano. Nessuna di esse supererebbe il Test di
Turing. Ma se solo una di queste copie, solo per un istante, per accidente,
per fluttuazione probabilistica, per errore di software, fosse capace
di trascendere i limiti della sua stupidità imposta dai processori che
la inventano? Se una sola scintilla d’immaginazione digitale fiorisse
dagli occhi di una di quelle mie copie? Una, una sola, per un istante.
Allora quella scintilla infinitesima moltiplicata infinite volte nel
labirinto di riflessi digitali dilagherebbe infinita in tutti i riflessi, su, fino al mio mondo di carne.
Sorride
a questo pensiero. Ne coglie a un tempo la potenzialità e l’impossibilità.
Poi, incapace di tenere a freno la molteplicità di movimenti che saturano
il suo spazio visivo, distoglie gli occhi dagli schermi. Ma non serve;
può cogliere soltanto altre molteplicità di sue copie riflesse che lo
scrutano. Allora scioglie gli occhi nel vuoto, sfocando lo sguardo tra
molteplicità di riflessi, sperando in una redenzione dalla moltiplicazione.
E’ così che lo lasciamo: seduto mentre ci regala
questa speranza per l’avvento di un’immaginazione che nell’era tecnologica
scaturisca dalla complessità quasi per accidente probabilistico, o magari
per alchimia elettronica, e trabocchi nel suo mondo e ancora più su
fin dentro al nostro mondo.
Forti della nostra posizione di osservatori, zoommando
indietro e dall’alto, usciamo con gli occhi dallo schermo che racchiude
la stanza di Leonardo e l’uomo, nostro alter-ego e avatar, e i suoi
riflessi, e i riflessi dei suoi avatar nei monitor, e gli avatar nella
stanza di Leonardo in Aleph, e i riflessi degli avatar negli specchi
della stanza di Leonardo in Aleph. Allontanando ancora il nostro sguardo
i riflessi di riflessi di riflessi perdono definizione. Si intrecciano
fittamente fin quando nello schermo si disintegrano assumendo l’aspetto
di pulviscolo, di vibrazioni elettroniche: brusio di rumore di fondo.
E’ a questo punto che fermiamo il moto di allontanamento.
E’ a questo punto che sul vetro del monitor, attraverso il pulviscolo
di microriflessi intrecciati, cogliamo il riflesso dei nostri occhi.
Dentro vi leggiamo scandita la stessa perplessità letta negli occhi
del nostro avatar: questo nostro avatar di certo non supererebbe
il Test di Turing ci raccontano i nostri occhi. Ma se solo per un instante un barlume della sua
creatività si riflettesse dentro a uno di quei riflessi, allora forse
ci sarebbe lo spazio per l’avvento di un’immaginazione che scaturisca
dalla complessità quasi per accidente probabilistico, o magari per alchimia
elettronica, e trabocchi nel suo mondo e ancora più su fin dentro al
nostro mondo…
Formulato il pensiero, un altro pensiero ci scaturisce
improvviso: la ricorsività del processo che ci ha portato a formulare
il pensiero sull’immaginazione nell’era digitale e a pensarlo scaturire
da pensieri di riflessi di riflessi di riflessi. E’ a questo punto che
da noi scaturisce il pensiero di essere pensieri di altri. E’ a questo
punto, mentre pensiamo a immaginazioni di immaginazioni di immaginazioni,
che ci sentiamo addosso la sensazione di altri occhi su di noi, da dietro
e dall’alto. Mentre ci osservano.
Allora non ci è difficile immaginare molti altri
livelli, molte altre immaginazioni…
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