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Claudio D'Angelo Sui margini, oltre i margini

La ricerca di Claudio D’Angelo vanta nelle sue originali elaborazioni formali un rigore e una continuità che si riscontrano raramente in questa fase storica dell’arte dominata da un eclettismo alla moda e all’insegna attuale di una mescolanza di generi e stili. Ciononostante egli non ha certo rinunciato a seguire l’evolversi di un linguaggio di pura astrazione verso una dimensione di assoluta essenzialità e di mezzi di forme. Del resto il suo lavoro si era già ben distinto tra gli anni ’60 e ’70 per una singolarità di preposizioni visive che escludevano ogni manierismo di origine percettivistica se non programmaticamente gestaltica. Anzi in questo ambito egli ha saputo dimostrare che gli stessi elementi costitutivi di una nuova grammatica della percezione visiva dovevano poi fondarsi sulle istanze inventive di una immaginazione fortemente emozionale. Da allora D’Angelo ha concepito elementari enunciati del segno e dello spazio ristrutturati in una trama addirittura minimalista , proprio per sconfinare a figurare l’essenza inaudita dell’atto dell’immaginare. E questo lo ha portato a decostruire le proprie tessiture formali, aprendo così lo spazio a farsi luogo di eventi imprevedibili suscitati da un senso dell’imponderabilità e dell’invisibilità, svincolati i suoi reticoli di risonanze musicali a ogni scansione prestabilita, affidati a ritmi grafici e spaziali quanto mai fluidi. Egli è venuto a identificare nel concetto stesso di “piega”, così come teorizzata da Deleuze, ogni manifestazione di movimento e del segno e della forma, come dire di trasformazione delle energie percettive e immaginative in una dimensione di quasi inafferrabili respiri visivi. Anzi nel suo lavoro a piegarsi non è solo il segno, ma lo stesso spazio che così fa vuoto all’evento che inaugura essenziali presenze formali. Spazio e segno si rivolgono su se medesimi in uno speculare capovolgimento di funzioni: lo spazio è già segno e il segno è a sua volta emergenza di spazio, un’emergenza, l’una e l’altra prodotte dall’atto di quella “piega” che apre ogni evento a figurare il senso della propria origine. Vi è un ciclo di lavori dove egli, sussumendo un’uguale quadratura spaziale determinata da un lieve rigonfiamento ai lati del supporto cartaceo interviene sul bianco luminosamente omogeneo con leggerissime pulsazioni cromatiche, oppure con lievi tratteggi. Qui D’Angelo lavora sul senso della traccia, sulla risonanza evidenziata in scie luminose, in frammenti di onde sonore per cui la superficie diventa in sostanza uno spazio di ascolto. L’artista intende figurare un concetto di soglia e quindi muove percezioni appena catturate per sottrarle alla loro entropia, ma così facendo sa di dover lavorare sui bordi di quella spazialità fisica e metaforica, lavora cioè a margine, oltre i margini del campo visivo e di ogni ipotesi di forma. Dentro i lunghi intervalli che misurano per un altro vuoto abissale emerge epifanicamente qualche traccia imprevedibile, appena un segno che si sporge, sull’infinitezza della luce, a figurare dunque l’energia che dà impulso a ricercare il senso inaudito di un’essenza di per sé poeticamente incomparabile.
Toni Toniato

Claudio D’Angelo è nato a Tripoli nel 1938, vive ad Ascoli Piceno.

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