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Galleria Anna D'Ascanio Via del Babuino 29, 00187 Roma
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Italia
Tel.++39 06 36001804
Fax++ 39 06 36001876
Orario: lunedì – sabato 10.30 – 13.30, 15.00 – 19.30 Contatto: Paola Donato
E-mail: info@galleriadascanio.it
web www.galleriadascanio.it
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Galleria Anna D'Ascanio |
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Mirko La scultura del mito
lI 26 ottobre 2001 è stata inaugurata la mostra Mirko - La scultura del mito con disegni e sculture di piccolo e medio formato dagli inizi della sua attività sino a quelle più recenti. Saranno presentate circa 20 opere scultoree di legno, rame e bronzo eseguite dagli anni ‘40 in poi accompagnate da una ventina di pastelli cerosi che l’artista produsse nel periodo fra 1940 e 1965. La mostra vuole ripercorre attraverso i disegni e le sculture, la ricerca unica e singolare intrapresa da Mirko. "Un procedere magicamente, in simpatia con le operazioni macrocosmiche", così veniva definito il suo lavoro nel catalogo della sua prima personale a Roma. Il Mito come elemento carico di partecipazione fantastica ed evocativa era già nelle sue prime opere, figurative eppure mai mimetiche. Già allora la figurazione, vagamente infranta, cresceva nella direzione di elementi assolutamente autonomi e legati semmai ad archetipi di forza ancestrale. Certo aveva contribuito l’eredità di Martini, del quale Mirko sarà collaboratore, a liberare i suoi lavori da quella che Martini stesso definiva come "vita parassitaria della scultura". Mirko, forte di esperienze e capacità tecniche acquisite fin dall’infanzia, anche quando sarà a Roma vicino ad artisti come Cagli, non sfiorerà mai il rischio di trasformare il Mito nella fissità della celebrazione. Questa dimensione mitica nell’opera di Mirko non è mai una presentazione facilistica della favola o recupero del mito arcaico, bensì la più complessa e drammatica ricerca della capacità di riscatto di quell’unità elementare collettiva che la metafisica, rivolto lo sguardo nel vuoto silenzio, aveva lasciato intendere perduta per sempre.
Dal Dizionario della Scultura Moderna: Tenne la sua prima mostra personale a Roma, alla galleria La Cometa, nel 1935 e richiamò fin d’allora l’attenzione sulla sua scultura a quel tempo figurativa, maturata nell’ambiente di cultura così profondamente segnato dall’impronta di Arturo Martini. Un fondamento espressionista, misto ai postulati arcaicizzanti propri della ricerca martiniana, segnò l’indirizzo di quella prima attività. Ma già un viaggio compiuto a Parigi nel 1937, insieme, con il fratello Afro, aprì i suoi interessi a esperienze internazionali e allorché, nell’immediato dopoguerra, egli cominciò ad esporre le sue opere - una mostra di scultura ebbe luogo alla galleria Knoedler di New York nel 1947 e un’altra di dipinti fu presentata dalla galleria dell’Obelisco di Roma - si poté constatare come quell’apertura a un linguaggio consapevole delle esperienze internazionali dell’arte moderna avesse orientato e arricchito il suo repertorio stilistico. L’esperienza cubista appresa a Parigi rappresentò nelle opere di quegli anni, per esempio l’Orfeo, l’impalcatura formale della successiva espansione astratta. Una conclusione di tutti questi coscienti e coerenti trapassi si ebbe subito dopo, tra il 1949 e il 1951, con un autentico capolavoro, vale a dire con il cancello bronzeo da lui fuso per le Fosse Ardeatine di Roma, a ricordo dei martiri caduti sotto la barbarie nazista. "Quell’opera" ha scritto Giulio Carlo Argan, "commenta con la musica dei suoi ritmi formali uno dei più drammatici eventi della lotta della ragione e della morale contro l’infame connubio dell’irrazionalità e dell’immoralismo". Formata di drammatici sviluppi, che con una forte carica espressionistica riducono in un astratto geroglifico di forme la tensione della materia, quell’opera rimane testimonianza quanto mai efficace dello stesso rinnovarsi della scultura italiana del dopoguerra. In altre opere civiche lo scultore ha mostrato di trasfondere uguale impegno, se non uguale partecipazione drammatica; conforme, quell’impegno, alla mutata necessità di celebrare un evento o di partecipare con forme scultoriche ai volumi e allo spazio dell’architettura con moderno sentimento. [..] Le opere da lui create dal 1951 in poi si distinguono per l’estro e per la vivezza decorativa dell’invenzione. Una grande felicità immaginativa unita al ricordo meditato di echi barbarici e ancestrali, talvolta affioranti da una preferenza della plastica dell’Occidente, ne è la peculiare caratteristica. La varietà delle invenzioni formali è, infatti, inesauribile, il possesso delle tecniche e la conoscenza delle materie più disparate sono sorprendenti. Da questi postulati il mito riceve una evocazione suggestiva, e il suo rinnovarsi corrisponde ad una esigenza del tutto attuale e non archeologica. Vi si può riconoscere un risultato di aderenza alla poetica surrealistica, talché se alla base di certi totem o idoli ancestrali è pur sempre la memoria della figura umana, la metamorfosi con la quale essi diventano forme astratte e disciolte dal primitivo riferimento antropomorfico, è una partecipazione diretta al surrealismo. Perdendo di umanità sociale, quelle forme acquistano, nel loro rapporto con Io spazio, una umanità Ietteraria, miti della visione moderna del mondo, similitudini celebrali ma possenti, dell'esperienza reale. Giovanni Caradente
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La Scultura del Mito
2001
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