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ARTICOLI MEDICI
(da Admo Notizie n.12 - Giugno
1999)
Trapianto di midollo osseo da donatore non correlato nella
talassemia major
Dr. Giorgio La Nasa
Univ. di Cagliari
Cattedra di Genetica Medica
Volentieri
pubblichiamo larticolo propostoci dal Dr. La Nasa, per
limportanza dellargomento. Ci scusiamo col lettore non abituato
alla terminologia medica e alle definizioni dei farmaci specialistici, ma
abbiamo ritenuto meglio non modificare il testo, volgarizzandolo, per non
incorrere in errori di interpretazione, data anche la delicatezza
dellargomento
Il trapianto di midollo osseo
(TMO) allogenico da donatore familiare HLA-genotipicamente identico ha
radicalmente cambiato la prognosi della b-Talassemia omozigote,
dimostrandosi in grado di portare a guarigione unelevata percentuale
di pazienti con rischi di mortalità relativamente modesti.
Soprattutto in quelle categorie ai malati che, al momento del trapianto,
presentano condizioni cliniche ottimali. Mentre nei pazienti in cui la
situazione clinica di base è complicata da alterazioni
anatomo-funzionali a carico del fegato o di altri organi, i risultati sono
meno soddisfacenti. Al momento attuale uno dei problemi principali del TMO
allogenico nella talassemia è rappresentato dalla difficoltà
di reperire dei donatori HLA identici allinterno delle famiglie,
anche a causa della tendenza generalizzata alla riduzione del numero dei
componenti dei nuclei familiari, fenomeno particolarmente evidente nei
paesi occidentali. Infatti la possibilità di trovare un donatore HLA
identico familiare è inferiore al 30%. Per il restante 70-75% dei
pazienti talassemicirimane lopzione della terapia tradizionale basata
sul supporto trasfusionale e sulla ferro-chelazione. Questa terapia ha
migliorato notevolmente la qualità e la durata di vita, ma non
sempre è in grado di rimuovere completamente il sovraccarico
marziale e di evitare lepato-splenomegalia e i rischi di infezioni
virali post-trasfusionali. La talassemia rimane pertanto una malattia
cronica, ad andamento lentamente ingravescente, in cui il rischio di
mortalità aumenta progressivamente con letà. Inoltre
occorre sottolineare che un elevato numero di pazienti, con il passare
degli anni. dimostra una ridotta tolleranza alla terapia.
In questi ultimi 10 anni, per la
cura delle leucemie e di alcune gravi malattie congenite ereditarie si
è fatto sempre più frequentemente ricorso al trapianto di
midollo osseo utilizzando donatori non familiari. I dati iniziali hanno
dimostrato, rispetto al trapianto da donatore HLA genoidentico, risultati
inferiori in termini di sopravvivenza senza malattia, per laumento di
frequenza di complicanze, quali la graft versus host disease (GVHD) acuta e
cronica e il rigetto. Questi risultati sono stati ritenuti accettabili in
relazione alla gravità della prognosi in tali affezioni. Viceversa
nella b-Talassemia omozigote il ricorso a donatori non correlati non ha
trovato consenso in quanto il rischio è stato ritenuto troppo
elevato. La maggiore frequenza di GVHD e di rigetto nei trapianti MUD
rispetto a quelli intrafamiliari era dovuta a incompatibilità HLA
non testate, o non rilevabili in questo tipo di trapianto con le tecniche
di tipizzazione tessutale comunemente utilizzate e sufficienti nel
trapianto familiare. In questi ultimi anni vi è stato un netto
incremento dellattività di trapianto da donatore non
correlato, e allo stesso tempo, è stato registrato un significativo
miglioramento dei risultati in rapporto soprattutto al perfezionamento
delle tecniche molecolari di studio dellidentità
immunogenetica donatore/ricevente e allincremento del numero dei
donatori nei registri nazionali ed internazionali. Pertanto, sebbene la
talassemia major sia una malattia con aspettativa di vita relativamente
lunga, il trapianto di midollo osseo da donatore non correlato potrebbe
rappresentare anche per questi pazienti una valida alternativa terapeutica,
comunque lunica (in assenza di donatori familiari) in grado di
garantire la guarigione definiva, pur tenendo conto della maggior
percentuale di rischio che questa procedura comporta.
Vi sono evidenze sempre maggiori
che lintera struttura di un aplotipo HLA esteso o ancestrale sia
costantemente identica sia in individui non i correlati dello stesso gruppo
etnico, sia in individui provenienti da etnie diverse. Inoltre diversi
studi supportano lipotesi che il miglior grado di
compatibilità sia ottenibile quando la coppia donatore/ricevente
condivida due aplotipi HLA estesi.
Su queste basi, la nostra
équipe del Centro Trapianti del Dipartimento di Scienze Mediche
dellUniversità di Cagliari ha avviato, in collaborazione con
il Centro Trapianti di Midollo Osseo di Pesaro e con lapprovazione
del Gruppo Italiano Trapianti Midollo Osseo (GITMO), una studio
sperimentale sul trapianto non correlato nella talassemia major.
Questo studio prevede una selezione
di coppie donatore/ricevente estremamente accurata al fine di ridurre il
rischio di complicanze su base immunogenetica, quali la GVHD e il rigetto.
Infatti il protocollo di studio prevede per i pazienti a basso rischio la
selezione di donatori non correlato identici per aplotipi HLA estesi. Tale
identità deve essere accertata mediante studio familiare sia del
ricevente che del donatore e confermata con la tipizzazione HLA di classe
III (complotipo) e con la tipizzazione molecolare dei loci HLA-A, Cw, B,
DRB1, DRB3, DRB4, DRB5, DQB1, DQA1 e DPB1. Per i pazienti ad alto rischio,
che hanno una maggiore urgenza di effettuare il trapianto, è
richiesta una identità HLA completa confermata a livello molecolare
per i loci HLA-A, Cw, B, DRB1, DRB3, DRB4, DRB5, DQB1, DQA1.
Fino ad ora, seguendo questo
protocollo, sono stati effettuati 19 trapianti su pazienti talassemici, 12
presso il Centro Trapianti del Dipartimento di Scienze Mediche
dellUniversità di Cagliari, 3 presso il Centro Trapianti della
Clinica Pediatrica del Policlinico S. Matteo dellUniversità di
Pavia, 2 in Germania presso il Centro Trapianti di Midollo Osseo di
Idar-Oberstein, 1 presso il Centro Trapianti di Midollo Osseo
dellOspedale di Pesaro e 1 presso il Centro Trapianti
dellIstituto di Clinica e Biologia delletà evolutiva
dellUniversità di Cagliari.
Prima del trapianto, sulla base
dello studio clinico, strumentale e della biopsia epatica, i pazienti
selezionati sono stati assegnati alle tre classi di rischio secondo lo
schema proposto da Lucarelli. I fattori di rischio presi in considerazione
erano: 1) epatomegalia 2) la presenza di fibrosi portale nella biopsia
epatica pre-TMO e 3) la qualità del regime di chelazione del ferro.
Dei 19 pazienti talassemici esaminati 3 appartenevano alla 1^ classe di
rischio, 6 alla 2^ e 10 alla 3^ classe. Letà dei pazienti era
compresa fra 4 e 20 anni.
Tutti i 19 donatori non correlati
venivano ritrovati allinterno del Registro dei Donatori Italiani di
midollo osseo (IBMDR)- Il tempo medio dallinizio della ricerca al
giorno del trapianto era di 6 mesi.
l regimi di condizionamento
utilizzati sono stati due: Busulfano (14 mg/Kg) + Ciclofosafamide (200/160
mg/Kg) in 7 casi e Busulfano (14 mg/Kg) + Thitepa (10 mg/kg) +
Ciclofosafamide (200/160 mg/Kg) in 12 casi, riducendo la dose di
Ciclofosfamide da 200 a 160 mg/Kg nella categoria dei pazienti ad alto
rischio (classe 3^). La profilassi della GVHD veniva effettuata mediante
somministrazione di Ciclosporina in associazione al Methotrexate.
Dei 19 pazienti trapiantati, 17
(90%) sono viventi, di questi 13 (74%) il hanno mostrato un attecchimento
allogenico completo e sono andati incontro a guarigione definitiva, in 3
casi (16%) si è verificata una ricostituzione autologa con ritorno
allo stato talassemico pre-trapianto e in 2 casi (10%) i pazienti sono
deceduti, in un caso per polmonite interstiziale da Citomegalovirus ed in
un caso per GvHD epatica. Lincidenza di GvHD acuta (36%) e cronica
(28%) è stata globalmente modesta. Il follow up dei 19 pazienti
è compreso tra 70 e 2 mesi. Tutti e tre i casi di ricostituzione
autologa si sono verificati nella prima serie di pazienti che avevano
praticato il regime di condizionamento standard Busulfano + Ciclofostamide
ed includevano un paziente che aveva ricevuto midollo osseo T depleto,
mentre nessun paziente sottoposto al regime di condizionamento che
includeva il Thiotepa, ha presentato ricostituzione autologa.
I dati sopra riportati, sebbene
ancora preliminari, sembrano dimostrare che il trapianto di midollo osseo
effettuato da donatore non correlato, selezionato sulla base dei criteri
immunogenetici sopra descritti, possano offrire gli stessi risultati
ottenuti con il trapianto da donatore familiare HLA identico e che possa
pertanto essere considerato un approccio terapeutico accettabile nella cura
della talassemia major.
(da Admo
Notizie n.12 - Giugno 1999)
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO ALLE SOGLIE DEL 2000. OBIETTIVO
GUARIGIONE A MINOR PREZZO
Dott. Cornelio Uderzo
Centro
TMO Ospedale S. Gerardo
di Monza (MI)
In questi ultimi 10 anni
il trapianto di midollo o di cellule staminali periferiche si è
affermato come una delle strategie terapeutiche più utili nella cura
di malattie maligne resistenti a terapia convenzionale (Leucemia acuta,
Leucemia cronica, Linfomi, Mieloma multiplo, Sindrome mielodisplastica) o
malattie genetiche del sistema immunoemopoietico (Immunodeficienze,
Thalassemia Maior, Anemia a cellule falciformi, mucopolisaccaridosi, Anemia
di Fanconi,...) o acquisite (Anemia aplastica severa) con risultati
favorevoli dal 30 al 70% dei casi a seconda delle patologie.
Terapia di supporto sempre
più sicura e sofisticata, esperienza del team
trapiantologico (medici, infermiere), aggiornamento continuo e
consapevolezza di tutti gli operatori seriamente impegnati nel programma
trapianto (ci riferiamo anche agli amministratori degli ospedali che hanno
consentito il funzionamento di strutture complesse adatte al trapianto)
hanno permesso il successo di questo approccio terapeutico.
Obiettivo primario dei
prossimi anni sarà lapplicazione di tutte quelle alternative
terapeutiche in grado di rendere più sicuro il trapianto (=
riduzione o abolizione della mortalità trapiantologica legata alla
chemio-radioterapia ad alte dosi utilizzata immediatamente prima
dellinfusione di cellule staminali emopoietiche, ovvero del
trapianto). In pratica, il rischio di mortalità precoce
post-trapianto (nei primi 100 giorni del trapianto) può arrivare
oggi ancora attorno al 20-40%, in particolare per i soggetti sottoposti a
trapianto da donatore non famigliare, situazione poco accettabile anche se
a fronte di sicuro insuccesso, se i pazienti non potessero usufruire di
questo tipo di trapianto.
SITUAZIONE ATTUALE
Lattività
di trapianto di midollo da donatore non famigliare è andata
aumentando negli anni come documentato, ad esempio, dagli oltre settemila
trapianti eseguiti negli Stati Uniti e dallincremento degli stessi in
Italia a tutto il 1998. È evidente che grazie alla
disponibilità dei donatori di midollo osseo volontari, il cui numero
secondo il Registro Mondiale (WBMDR) ha ormai superato i cinque milioni,
è possibile oggi guarire un numero sempre maggiore di pazienti che
non dispongono di un donatore famigliare HLA compatibile. Rimane ancora
aperto il problema di come diminuire tutta quella serie di complicanze
legate al trapianto e che hanno come causa principale la reazione
immunologica Donatore contro ricevente (= Graft versus host
disease ) o Ricevente contro donatore (= Rigetto). Per quanto
riguarda i risultati del trapianto da donatore non famigliare in Italia, la
curva attuariale di sopravvivenza libera da malattia comprendente 411
pazienti (adulti e bambini) affetti da emopatie maligne o da
malattie/disordini emopoietici congeniti è attorno al 40%. Fattori
particolarmente a favore del risultato ottenuto sono stati sia il
miglioramento delle tecniche di tipizzazione HLA, sia lutilizzo di
donatori con età inferiore a 35 anni , sia un maggior numero di
cellule staminali midollari utilizzate per il trapianto.
STRATEGIE PER RENDERE PIÙ SICURO UN TRAPIANTO DA
DONATORE
NON FAMIGLIARE
SCELTA DELLA MIGLIOR
SORGENTE
DI CELLULE STAMINALI
Numerosi centri e
organismi scientifici hanno discusso ed attuato programmi di ricerca
mediante lutilizzo di donatori non famigliari disposti a donare non
tanto il midollo osseo, ma le proprie cellule staminali periferiche,
metodica più vantaggiosa perché in grado di far attecchire
più rapidamente le cellule emopoietiche nel midollo osseo del
paziente, diminuendo così in parte la mortalità legata alle
possibili gravi infezioni del primo bimestre post-trapianto.
Da uno studio eseguito a
questo proposito negli anni 1995-1996 negli Stati Uniti dal Registro
Internazionale Trapianto di Midollo (IBMTR) su una vasta casistica di
pazienti leucemici trapiantati con midollo osseo di donatore famigliare HLA
identico (536 soggetti) confrontata con una casistica di 288 pazienti
leucemici sottoposti a trapianto da cellule staminali periferiche (di
famigliari HLA compatibili) non è stata evidenziata differenza per
quanto riguarda:
- lattecchimento
- la reazione
acuta trapianto
contro ospite
- la
sopravvivenza libera da malattia
(60% nei
trapiantati con midollo
osseo versus 70%
nei trapiantati
con cellule
staminali periferiche
mentre si è
potuto dimostrare una certa differenza per quanto riguarda:
- lincidenza della reazione cronica
trapianto verso
ospite (60% nei
riceventi cellule
staminali versus 40%
nei riceventi di
midollo osseo)
- la
mortalità acuta post-trapianto,
più elevata
(40%) nei soggetti
riceventi midollo osseo
- i costi del
trapianto decisamente
superiori laddove
si utilizzava
midollo osseo,
invece di cellule
staminali periferiche.
La conseguenza non
obbligata ma prevedibile di questi dati è quella di un uso sempre
più largo dei trapianti da donatori famigliari mediante cellule
staminali periferiche.
Di qui lorientamento
più recente da parte del Registro donatori di midollo degli Stati
Uniti di utilizzare anche i donatori non famigliari come
fornitori di cellule staminali periferiche, piuttosto che di
midollo osseo.
In Italia lutilizzo
dei fattori di crescita sui donatori non famigliari candidati alla
donazione di cellule staminali periferiche è ancora oggetto di
dibattito, per motivi non solo etici, ma sarà opportuno che il
problema venga definitivamente affrontato da parte della comunità
scientifica che, nellambito del trapianto di midollo osseo, ha ormai
unampia esperienza e quindi credibilità.
Già dallinizio
del 1999 inoltre grazie allapprovazione del noto organismo FDA (Food
& Drug Administration) per quanto riguarda le tre maggiori banche di
cordone ombelicale degli Stati Uniti, saranno anche disponibili in tempi
sempre più rapidi le cellule staminali cordonali, con
limmediato vantaggio di poter eseguire un maggior numero di trapianti
cordonali, laddove non esiste la possibilità di reperire in tempi
adeguati un donatore non famigliare HLA compatibile.
SCELTA DELLA MIGLIORE
compatibilità HLA
Il significato clinico
del miglior grado di compatibilità HLA è stato da tempo
chiarito da numerosi gruppi e, tra i primi, negli ultimi 10 anni, dal
gruppo di Seattle guidato del Dott. Claudio Anasetti. In uno studio di un
caso controllo tra pazienti sottoposti a trapianto da donatore
non famigliare (52 casi) e pazienti riceventi midollo da famigliare (104
casi) perfettamente HLA compatibili, la GVHD di III-IV (= mortale) si
è verificata nel 35-40% dei riceventi midollo da non famigliare
rispetto al 20% dei riceventi midollo da famigliare; la sopravvivenza
finale libera da malattia era praticamente sovrapponibile (30% in entrambi
i gruppi) con una maggior mortalità trapiantologica ma meno ricaduta
della malattia di base nel gruppo dei riceventi midollo da non
famigliare.
Andando a valutare il ruolo
giocato dal grado di compatibilità HLA nei riceventi midollo da non
famigliare, si è sottolineato, sempre dal gruppo di Seattle, che una
GVHD III-IV era presente nel 51% dei riceventi midollo parzialmente
compatibile (5 antigeni su 6) rispetto ad un 36% dei riceventi midollo
completamente compatibile, mentre la sopravvivenza globale non era tuttavia
influenzata (risultava del 40% in entrambi i soggetti).
Da segnalare infine
(Petersdof - Seattle 1996) il fatto che lincompatibilità del
locus DRB1 si associava a più frequente GVHD di III-IV (70% dei
casi) e a maggior mortalità trapiantologica (60% dei casi). Fattori
sempre favorevoli in questi tipi di trapianto non perfettamente compatibili
rimangono letà del paziente (inferiore a 20 anni) e lo stadio
non avanzato della malattia al momento del trapianto.
PIU' RECENTI ACQUISIZIONI
A riprova che il
polimorfismo del sistema HLA gioca un ruolo determinante nel successo del
trapianto di midollo, sono sempre più numerose le segnalazioni
(Petersdof, 1997) dellimportanza del locus C nel determinare maggior
incidenza di rigetto tra riceventi e donatori che non lo condividono e che
tuttavia siano compatibili per tutti gli altri loci (A, B, DRB1). Anche il
locus DQ ma non il DP, fino ad ora almeno, sembra avere notevole peso sullo
sviluppo della GVHD di grado III-IV.
Studi retrospettivi e
prospettici infine sono in atto in molti centri trapianto per stabilire
limportanza anche della tipizzazione genomica di classe
prima nel determinismo del rigetto, così come studi analoghi
per la classe seconda hanno rivelato limportanza di
questi ultimi antigeni nel determinare la GVHD.
CONCLUSIONE
Le esperienze in campo
nazionale ed internazionale stanno sottolineando tutti quegli aspetti di
ricerca clinica e laboratoristica in grado di rendere più sicure le
procedure trapiantologiche per i pazienti che dal trapianto di cellule
staminali, di midollo o di sangue periferico, attendono le guarigione,
perché affetti da malattie maligne spesso mortali, se trattate con
la tradizionale chemioterapia.
È necessario che
ogni comunità scientifica, ma anche tutti gli organismi deputati
alla salute pubblica (i politici hanno una notevole responsabilità
in questo), uniscano gli sforzi per favorire tutti quei centri (centri
trapianto, centri donatori, registri di donatori) che per esperienza ed
alta professionalità hanno già consentito lottenimento
di eccellenti risultati nella cura delle leucemie e dei tumori

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