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ARTICOLI MEDICI
Trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatori volontari non consanguinei Dr. Claudio Anasetti
Il dr. Claudio Anasetti, noto scienziato e ricercatore italiano, che lavora da più di quindici anni presso il prestigioso Fred Hutchison Cancer Research Center dell'Università dello Stato di Washington a Seattle, ci ha inviato questo articolo sul trapianto di midollo osseo da donatore volontario non consanguineo. Il Centro di Seattle è famoso sia perché vi è stato eseguito, nel lontano 1968, il primo trapianto di midollo del mondo basato su rigorosi presupposti immunologici (da fratello HLA-identico) sia perché, nel 1973, vi è stato eseguito, sempre con successo, anche il primo trapianto da donatore non apparentato, il che ha aperto la strada alla costituzione dei registri e a tutto il movimento del volontariato mondiale. Su queste fondamentali basi è nato un nuovo e insostituibile mezzo terapeutico che ha portato, al momento attuale, alla effettuazione di più di duecentomila trapianti allogenici (cioè fra soggetti della stessa specie) di midollo osseo, in genere tra fratelli ma anche di oltre diecimila trapianti eseguiti utilizzando donatori non apparentati con il paziente. Pioniere di questa gloriosa avventura è stato il prof. Edward Donnall Thomas, Direttore del Fred Hutchison e iniziatore di ambedue i tipi di trapianto; per questo suo insostituibile contributo al progresso della scienza medica, Thomas ha ricevuto, nel 1990, il Premio Nobel. Siamo, quindi, particolarmente orgogliosi di pubblicare il contributo del dr. Anasetti, considerate queste rilevanti e illustri credenziali. L'articolo è, chiaramente, molto tecnico. Abbiamo cercato di dargli una veste il più possibile divulgativa. Prof. Giorgio Reali
Il Trapianto di Midollo Osseo (TMO) da donatore volontario non apparentato è divenuto di pratica e valida fattibilità grazie all'individuazione dei geni e degli antigeni del sistema HLA (il maggior sistema di istocompatibilità nell'uomo) e alla identificazione delle loro importantissime funzioni in campo immunologico. Contributi insostituibili ed essenziali sono, poi, derivati da una più accurata e approfondita tipizzazione di geni e antigeni HLA, condotta con metodiche di biologia molecolare (che permettono di identificare non soltanto le principali caratteristiche HLA ma anche i loro numerosissimi sottotipi) e dalla costituzione, in tutto il mondo, di registri che raccolgono, al momento, circa 7 milioni di volontari, candidati alla donazione di midollo. In questi ultimi tempi, più di duemila pazienti affetti da malattie ematologiche fatali (leucemie acute e croniche, linfomi, mielosi, mielodisplasie, errori congeniti del metabolismo, emoglobinopatie come la talassemia, immunodeficienze congenite) vengono trapiantati nel mondo ogni anno, utilizzando cellule staminali emopoietiche provenienti da donatori non correlati. In seguito a tali trapianti, molti malati hanno conseguito un ricupero immunologico ed ematologico totale così da potersi ritenere clinicamente guariti. È da sottolineare, tuttavia, che il TMO da volontario non consanguineo comporta una maggiore incidenza, rispetto ai TMO da fratello HLA-identico, di quella particolare complicanza, specifica proprio di questo tipo di trapianto, che è nota come GvHD (acronimo di Graft versus Host Disease, cioè reazione dell'innesto contro l'ospite). Infatti, poiché con il TMO vengono trapiantate nel ricevente cellule immunocompetenti (cioè in grado di reagire a stimoli antigenici con la formazione di anticorpi sia solubili sia cellulari), queste, una volta giunte nell'organismo del paziente, si trovano in un contesto tessutale molto diverso dal proprio: ne consegue che, essendo dotate di capacità aggressive, possono attaccare (e spesso attaccano) i vari organi e apparati del ricevente, determinando appunto la GvHD: questa sarà tanto più grave quanto maggiori sono le differenze che esistono fra le caratteristiche HLA del donatore e quelle del paziente. A questo punto è necessario dare alcune notizie esplicative. L'impiego delle metodiche di biologia molecolare ha permesso di affinare al massimo la tipizzazione sia del donatore sia del ricevente e di conseguire, quindi, la maggior compatibilità possibile fra i due attori del TMO per quanto riguarda gli antigeni HLA definibili. Va, però, sottolineato che dell'insieme del cromosoma su cui risiedono i geni che danno origine alle caratteristiche di istocompatibilità noi siamo in grado di individuare e identificare alcuni punti (quelli relativi agli antigeni che tipizziamo) ma non il complesso intero e, quando caratterizziamo come HLA-identiche due persone lo facciamo sulla base delle informazioni che ci sono derivate esclusivamente dalle tipizzazioni (più o meno approfondite o raffinate che siano) che abbiamo condotto sugli antigeni noti. Si apre, adesso, un duplice scenario: se le due persone da noi classificate come HLA-identiche sono fratelli, siamo sicuri che esse saranno identiche anche per quelle zone del cromosoma (dove ha sede il complesso maggiore di istocompatibilità) che non siamo stati in grado di esplorare, mentre, se si tratta di due soggetti non consanguinei, abbiamo la quasi assoluta certezza, al contrario, che esse saranno diverse per quei tratti di cromosoma che non abbiamo avuto la possibilità di indagare. Ecco spiegata, quindi, la maggiore incidenza di GvHD nei TMO da volontario piuttosto che da fratello. È, comunque, estremamente importante approfondire al massimo grado possibile le tipizzazioni degli antigeni indagabili, impiegando anche quelle nuove metodiche, quali l'ibridazione di sequenze geniche specifiche, nota come SSOP (Sequence Specific Oligonucleotide Probes) o l'amplificazione del DNA mediante la PCR (Polymerase Chain Reaction), cioè la reazione polimerasica a catena che il progresso della scienza ci ha messe a disposizione. Tali recenti tecnologie si sono dimostrate mezzi estremamente potenti per investigare ancora più approfonditamente tutti i loci HLA, cioè sia quelli di prima classe (HLA-A, B, C) che quelli di seconda classe (HLA-DR/DQ). La constatazione che il TMO da donatore non correlato offre la possibilità di guarigione a pazienti affetti da malattie ematologiche fatali e privi del fratello identico e che i risultati clinici che si conseguono sono praticamente sovrapponibili a quelli che si ottengono con trapianti fra fratelli ha spinto i ricercatori a prendere in considerazione la possibilità di effettuare questo tipo di terapia anche quando la compatibilità fra donatore e ricevente non è totale, in considerazione, soprattutto, dell'alto numero di soggetti che necessitano del TMO e della obiettiva difficoltà di reperire (quanto meno in alcuni casi) un estraneo totalmente compatibile. Una possibile, ma fortunatamente rara, complicazione di un TMO è rappresentata dal mancato attecchimento dell'innesto. Studi condotti proprio dal gruppo di Seattle1 hanno dimostrato che sono soprattutto le differenze fra donatore e ricevente per gli antigeni di classe prima quelle che determinano questo tipo di insuccesso. Qualora, peraltro, a diversità per gli antigeni di prima classe si aggiungano anche differenze per gli antigeni di classe seconda, il rischio di mancato attecchimento viene ulteriormente e notevolmente accresciuto. Nel determinismo della GvHD, invece, sono gli antigeni di classe seconda (cioè gli HLA-DR/DQ) quelli più direttamente coinvolti. Nello stesso studio precedentemente riferito1 i trapiantologi di Seattle hanno revisionato i dati relativi alla compatibilità per gli antigeni DR di 365 TMO da donatore non apparentato: 306 di questi trapianti erano fra soggetti totalmente compatibili per gli antigeni DR, mentre 59 differivano per gli alleli DRB1, denominati DRbeta1 (questa nomenclatura, come, d'altronde, quella DQB1 indica che gli antigeni sono stati tipizzati utilizzando metodiche biomolecolari in grado di identificare gli antigeni portati sulla catena polipeptidica, quella variabile, perché destinata a recare le diverse specificità). L'elaborazione statistica dei dati dimostrava che, in caso di non perfetto abbinamento (o, come si definisce in termine tecnico, di mismatch) per gli alleli DRB1, il rischio relativo di una GvHD particolarmente severa (cioè di III o di IV grado) era significativamente aumentato, così come era anche accresciuto il rischio di mortalità connessa al trapianto. Una situazione pressoché analoga si ripete anche per differenze fra gli alleli DQB1. Fra tutte le malattie ematologiche, la leucemia mieloide cronica (malattia invariabilmente fatale) è quella per la quale è stato eseguito, a Seattle il maggior numero di TMO da donatore non correlato. In una revisione statistica e critica dei dati relativi ai pazienti affetti da leucemia mieloide cronica e trapiantati fra il 1985 e il 1994, studio pubblicato nel 19982, si è potuto costatare che la sopravvivenza a 5 anni da trapianto, in assenza di segni clinici di malattia, era del 56% per i 196 trapiantati in prima fase cronica, del 45% per i 17 pazienti trapiantati in seconda fase cronica, del 42% per i 71 pazienti trapiantati in fase accelerata della malattia e soltanto del 6% per i 35 pazienti trapiantati in fase blastica (la specificazione di queste fasi indica chiaramente il percorso e l'evolversi della leucemia). A maggiore testimonianza del fatto che i migliori risultati si ottengono nelle prime fasi della malattia, sta la constatazione di una sopravvivenza a 5 anni dal trapianto senza segni di malattia nel 74% dei pazienti trapiantati in prima fase cronica entro un anno dalla diagnosi. In altri termini, pur trattandosi di una malattia tipicamente a lunga e lenta evoluzione (di norma 5-7 anni), la leucemia mieloide cronica deve essere curata con il TMO il prima possibile. Ad aumentare le probabilità di buona riuscita di un TMO in questa patologia si sono impiegati nel più recente decennio farmaci antivirali e antifungini di moderna sintesi e di sicura efficacia. Ma anche per essa le differenze per gli antigeni HLA sia di prima sia di seconda classe rappresentano l'indicatore più importante di un probabile insuccesso. Ne deriva che, nella selezione del donatore, debbono essere impiegati i metodi più raffinati e sofisticati di tipizzazione per giungere alla individuazione il più possibile corretta del volontario più idoneo.
Si ringrazia il Prof. Giorgio Reali - consulente scientifico IBMDR -
per la collaborazione.
Il D. M. 25.11.98 e il suo impatto sulle procedure di ricerca di donatore non correlato Quadro normativo La copertura economica della ricerca di donatore non consanguineo di midollo osseo presso i registri esteri, finalizzata al reperimento di un donatore compatibile per un trapianto allogenico, è trattata dal D.M. 3.11.1989 e successive modificazioni ed integrazioni. La procedura di ricerca è infatti inquadrata tra le prestazioni assistenziali fruibili (in forma indiretta) presso centri di altissima specializzazione all'estero, al pari delle altre indagini non ottenibili nel nostro paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico. Il Decreto del Ministro della Sanità del 25.11.1998 - pubblicato sulla G.U. del 29.1.1999 - ha effettuato un intervento normativo specifico in materia e, prendendo atto dell'operatività dell'I.B.M.D.R. presso l'E.O. Ospedali Galliera di Genova, è stato espressamente previsto che :
Premesso che:
Nella modifica al regime di trattamento economico delle
spese della ricerca di donatore compatibile all'estero, è stata ed è tuttora
fondamentale l'opera dell'I.B.M.D.R.:
Come evidenziato, quindi, il passaggio innovativo apportato dal Decreto del Ministro della Sanità del 25.11.1998 - a favore dei pazienti - è stato duplice:
Considerato che l'intervento del Ministro Bindi è stato risolutivo per azzerare le precedenti difficoltà (in capo ai pazienti) collegate alla copertura economica della ricerca di donatore di midollo compatibile all'estero, rimane da augurarsi che il Parlamento sia altrettanto efficace nei confronti dell'I.B.M.D.R. (la cui attività è iniziata nel 1989 e che tuttora trae le risorse economiche per il suo funzionamento da una Fondazione cui partecipano la Nazionale Italiana Cantanti, ADMO e l'E. O. Ospedali Galliera stesso) con l'approvazione del Disegno di legge di riconoscimento dello stesso presentato per la prima volta nella X Legislatura alla Presidenza del Senato il 16.11.1989. Impatto sulla ricerca Il Decreto del 25.11.1998 emanato dal Ministro Bindi, all'inizio dello scorso anno, ha determinato profondi mutamenti nella procedura di ricerca di donatore non consanguineo. A distanza di 12 mesi dalla sua applicazione siamo sicuramente in grado di analizzare questi cambiamenti e di evidenziare come essi siano stati estremamente positivi per tutti i pazienti italiani in attesa di trapianto da volontario non familiare. Il primo effetto immediato è stato sulla tempistica della ricerca. Prima del decreto, gli incombenti economici correlati alla ricerca rendevano imprescindibile associare alle proposte di prosecuzione di ricerca nei diversi registri esteri, i relativi preventivi di spesa. I pazienti, in base all'indicazione del Centro Trapianti, dovevano provvedere direttamente ad effettuare un prepagato, all'Ospedale Galliera di Genova- sede dell'IBMDR- al fine di rendere operativa l'dentificazione di donatori compatibili al di fuori dell'ambito nazionale. Nella migliore delle ipotesi, quando cioè il paziente poteva far fronte alla spesa (il più delle volte di parecchi milioni di lire) la ricerca subiva una dilazione di qualche settimana, nell'attesa che venissero espletati i relativi incombenti economici. Molto spesso, invece, non possedendo le famiglie dei pazienti la liquidità necessaria per far fronte alla somma richiesta, la ricerca rimaneva bloccata, oppure proseguiva, quando possibile, solo sui donatori italiani, nell'affannosa attesa che venisse reperito il denaro necessario. Oggi, grazie alla nuova normativa, appena viene identificato un donatore potenzialmente idoneo (sia esso Italiano o estero), tutte le prestazioni necessarie per confermarne la compatibilità vengono immediatamente richieste, senza alcuna perdita di tempo prezioso. Come secondo effetto il decreto ha comportato un aumento nella richiesta di esami di compatibilità su potenziali donatori esteri e, conseguentemente, un incremento nel numero di pazienti che hanno potuto beneficiare del trattamento trapiantologico. Non più vincolati dall'obbligo di considerare la spesa massima a cui può far fronte la famiglia del paziente, vengono ora richiesti tutti gli esami di compatibilità ritenuti necessari per garantire, con buone probabilità di successo, il reperimento di un donatore. Ovviamente, poiché si tratta comunque di una spesa di denaro pubblico, proprio per ottimizzare l'investimento finanziario, l'IBMDR provvede ad elaborare una strategia di ricerca che aumenti al massimo la probabilità di reperire un donatore compatibile con il minor esborso economico. A riprova di quanto detto, nel corso del 1999 gli esami di compatibilità richiesti sui volontari iscritti presso i registri internazionali sono praticamente raddoppiati, rispetto all'anno precedente (Fig. 1). Conseguentemente, lo scorso anno il 40% in più di pazienti italiani ha potuto essere sottoposto ad allotrapianto da donatore non consanguineo, con un notevole aumento nell'utilizzo di donatori stranieri (Fig. 2).
"QUALITÀ DI VITA" IN 244 PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE ALLOGENICHE. T. Lamparelli, M.T. Van Lint, S. Chiodi, S. Spinelli, F. Gualandi, G. Ravera*, A.R. Petti*, A. Bacigalupo. Dipartimento di Ematologia Ospedale S. Martino Genova. *Dipartimento di Scienze della Salute (Sez. Biostatistica) Università di Genova. I progressi nel campo del trapianto di cellule staminali emopoietiche hanno reso concreta la possibilità di guarigione in una buona percentuale di pazienti affetti da patologie ematologiche. Se il primo obiettivo del medico e del paziente è stato per lungo tempo sconfiggere il "male", il secondo è stato quello di poter tornare alla fine del tunnel della malattia alla "luce di una vita normale". Pertanto l'esigenza di conoscere approfonditamente l'impatto del trapianto di midollo osseo allogenico sulla qualità di vita ha indotto i centri trapianto a condurre studi su questo argomento. Nel 1995 il nostro centro ha iniziato uno studio retrospettivo sulla valutazione della qualità di vita in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo allogenico, articolato sia sull'analisi dei dati demografici e clinici, sia sull'impiego di un questionario attraverso cui il paziente potesse esprimere il proprio vissuto quotidiano. PAZIENTI E METODI. Pazienti: i pazienti considerati eleggibili dovevano avere al
momento dello studio un età superiore ai 13 anni ed essere ad almeno
7 mesi dal trapianto allogenico. Dall'aprile 1995 al luglio 1996, 298
pazienti hanno ricevuto il questionario. 251 pazienti (84%) hanno compilato
e rispedito il questionario, sette questionari non erano completi, pertanto
l'analisi è stata condotta su 244 pazienti. La mediana del tempo intercorso
tra trapianto e compilazione del questionario era di 61 mesi. L'età
mediana dei pazienti al trapianto era di 28 anni. La tabella 1 mostra
le caratteristiche cliniche della casistica.
RISULTATI La mediana globale del punteggio PAIS era 56 (range 22-76); nel
25% dei pazienti il valore era <= 25 ( buona qualità di vita), nel 44
% era tra 26 e 75 (discreta qualità di vita), nel 31% era maggiore di
75 (scadente qualità di vita).
Segnalazioni dei volontari IBMDR giunti alla donazione di midollo osseo Dr. Nicoletta Sacchi Dal 1990 ai volontari giunti alla donazione viene richiesto di compilare, in maniera anonima, un modulo attraverso il quale hanno la possibilità di esprimere le loro impressioni e fornire suggerimenti per migliorare il nostro operato. Inizialmente veniva proposta la compilazione del questionario al momento della dimissione dall'ospedale del donatore, cioè il giorno dopo il prelievo. Alla fine del 1998 la Consulta dei Registri Regionali IBMDR ha deciso di proporre lo stesso questionario in due momenti successivi: ad uno e a trenta giorni dalla donazione. Si è ritenuto, infatti, che fosse utile raccogliere impressioni ed eventuali lamentele sia "a caldo", sia dopo un mese dal prelievo, quando il donatore ha la possibilità di fornire risposte più ponderate. Questa nuova procedura è stata applicata a partire dall'inizio del 1999, anno in cui 140 iscritti IBMDR sono giunti al prelievo di sangue midollare. Dei questionari raccolti durante lo scorso anno, quelli completi (cioè compilati alle due date stabilite) sono stati 130, pari al 93%; il 7% mancante è rappresentato da quelli relativi al 30° giorno. Da ciò emerge un dato significativo: una quota di donatori, piccola ma non trascurabile, risulta difficile da ricontattare a più di un mese dalla donazione. Ritenendo invece fondamentale seguire il decorso post-prelievo di tutti coloro che hanno donato, cercheremo, in un immediato futuro, di porre rimedio a questo inconveniente, stimolando gli operatori IBMDR a registrare più di un recapito degli iscritti. Nel corso di 10 anni di attività dell'IBMDR, sono stati raccolte informazioni da 535 donatori su un totale di 571 volontari che si sono sottoposti al prelievo di midollo (la perdita di dati è ascrivibile ai primi anni di attività nei quali la procedura non era stata resa ancora pienamente operativa). Il questionario, come si può vedere dalla copia riportata, è articolato in poche e semplici domande e le risposte ottenute sono riassunte nella tabella 1. Premesso che su 535 donatori il 94% ha descritto in modo più che positivo l'esperienza, abbiamo voluto qui porre in evidenza le segnalazioni negative raccolte, affinché questo ci serva di stimolo per correggere e migliorare il nostro operato. La dolorabilità in sede di prelievo è riportata dalla maggioranza dei donatori e, peraltro, è descritta come contenuta e risolta nell'arco di 2-4 giorni dalla donazione. Sei persone, invece, lamentano un recupero fisico più lento del previsto (da 1 settimana a 15 giorni), riferendo mal di schiena e astenia (al proposito, sembra inutile sottolineare come la sensazione di dolore sia estremamente soggettiva e come venga sopportata in maniera assolutamente personale). Cinque donatori hanno riportato disturbi (nausea e vomito) legati all'anestetico utilizzato, anche questi risolti nell'arco delle 24 ore successive alla donazione. Il 98% degli intervistati ha, però, vissuto serenamente queste sequele, riferendo di essere stato preparato in maniera esaustiva durante i colloqui antecedenti alla donazione a quello a cui sarebbero andati incontro. Una quota di intervistati (5%) lamenta carenze nella struttura ospedaliera in cui si è svolta la donazione. Pur dichiarando la maggioranza di essi di essere stati quasi "coccolati" dal personale infermieristico e medico, denunciano la scarsa qualità dei pasti e ritengono indispensabile trovare una sistemazione più adeguata alla figura del donatore (ricovero in stanza singola e non in mezzo a degenti, sovente affetti da gravi patologie). Purtroppo, malgrado la buona volontà dei sanitari che operano nei centri prelievo, certi reparti ospedalieri hanno, come è ampiamente noto, problemi strutturali tali da non essere facilmente risolvibili. Undici donatori hanno, invece, denunciato insufficienti informazioni da parte del Centro Donatori durante le varie fasi di selezione antecedenti il prelievo di midollo; due di essi, in particolare, hanno riferito di essere stati sottoposti all'intervento senza aver ricevuto chiare spiegazioni su quanto sarebbe accaduto realmente. Queste segnalazioni sono ovviamente molto gravi e ci hanno spinto a prendere provvedimenti affinché tali episodi non abbiano più a ripetersi. Molti degli intervistati (10%) lamentano la mancanza di una regolamentazione dell'assenza retribuita dal posto di lavoro. Attualmente, in carenza di una Legge specifica, il quadro normativo che si ascrive alla donazione di midollo osseo è rappresentato dalla Legge trasfusionale (4/5/1990) n.107, normativa talvolta non pertinente alle peculiarità della tematica. ADMO e IBMDR già da tempo sollecitano l'approvazione di un contesto legislativo specifico che, tra l'altro, permetta una miglior tutela del donatore sia attraverso una copertura assicurativa (alla quale attualmente provvede ADMO) sia garantendo l'assenza retribuita dal lavoro per tutti gli incombenti relativi alla donazione di midollo osseo. Chi compie l'atto della donazione (98% degli intervistati) dichiara di essere psicologicamente molto sereno, convinto di quello che sta facendo e di sentirsi emotivamente molto partecipe alla sorte del ricevente. Per tale ragione egli spesso avverte come troppo restrittivo il vincolo dell'anonimato tra ricevente e donatore. Va ricordato, però che a distanza di qualche mese dal trapianto, il 50% delle coppie donatori/ricevente ha contatti epistolari (rigorosamente anonimi) mediati dall'IBMDR e quindi ha la possibilità di scambiare messaggi ed emozioni. Sullo stesso questionario viene, infine, richiesto se, in caso di seconda donazione, il donatore ha intenzione di rendersi nuovamente disponibile. Il 79% degli intervistati ha risposto affermativamente, il 15% si è riservato di prendere una decisione al momento; solo il 6% (ovviamente sono inclusi i donatori che hanno esternato impressioni fortemente negative) ha espresso il proprio diniego. Nicoletta Sacchi |