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ARTICOLI MEDICI


(da Admo Notizie n.14 - Giugno 2000)

Trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatori volontari non consanguinei

Dr. Claudio Anasetti
Programma di Immunogenetica, Divisione di Ricerche Cliniche, Fred Hutchison Cancer Research Center e Università di Washington, Seattle, WA, USA


Il dr. Claudio Anasetti, noto scienziato e ricercatore italiano, che lavora da più di quindici anni presso il prestigioso Fred Hutchison Cancer Research Center dell'Università dello Stato di Washington a Seattle, ci ha inviato questo articolo sul trapianto di midollo osseo da donatore volontario non consanguineo. Il Centro di Seattle è famoso sia perché vi è stato eseguito, nel lontano 1968, il primo trapianto di midollo del mondo basato su rigorosi presupposti immunologici (da fratello HLA-identico) sia perché, nel 1973, vi è stato eseguito, sempre con successo, anche il primo trapianto da donatore non apparentato, il che ha aperto la strada alla costituzione dei registri e a tutto il movimento del volontariato mondiale. Su queste fondamentali basi è nato un nuovo e insostituibile mezzo terapeutico che ha portato, al momento attuale, alla effettuazione di più di duecentomila trapianti allogenici (cioè fra soggetti della stessa specie) di midollo osseo, in genere tra fratelli ma anche di oltre diecimila trapianti eseguiti utilizzando donatori non apparentati con il paziente. Pioniere di questa gloriosa avventura è stato il prof. Edward Donnall Thomas, Direttore del Fred Hutchison e iniziatore di ambedue i tipi di trapianto; per questo suo insostituibile contributo al progresso della scienza medica, Thomas ha ricevuto, nel 1990, il Premio Nobel. Siamo, quindi, particolarmente orgogliosi di pubblicare il contributo del dr. Anasetti, considerate queste rilevanti e illustri credenziali. L'articolo è, chiaramente, molto tecnico. Abbiamo cercato di dargli una veste il più possibile divulgativa.

Prof. Giorgio Reali


 

Il Trapianto di Midollo Osseo (TMO) da donatore volontario non apparentato è divenuto di pratica e valida fattibilità grazie all'individuazione dei geni e degli antigeni del sistema HLA (il maggior sistema di istocompatibilità nell'uomo) e alla identificazione delle loro importantissime funzioni in campo immunologico. Contributi insostituibili ed essenziali sono, poi, derivati da una più accurata e approfondita tipizzazione di geni e antigeni HLA, condotta con metodiche di biologia molecolare (che permettono di identificare non soltanto le principali caratteristiche HLA ma anche i loro numerosissimi sottotipi) e dalla costituzione, in tutto il mondo, di registri che raccolgono, al momento, circa 7 milioni di volontari, candidati alla donazione di midollo. In questi ultimi tempi, più di duemila pazienti affetti da malattie ematologiche fatali (leucemie acute e croniche, linfomi, mielosi, mielodisplasie, errori congeniti del metabolismo, emoglobinopatie come la talassemia, immunodeficienze congenite) vengono trapiantati nel mondo ogni anno, utilizzando cellule staminali emopoietiche provenienti da donatori non correlati. In seguito a tali trapianti, molti malati hanno conseguito un ricupero immunologico ed ematologico totale così da potersi ritenere clinicamente guariti. È da sottolineare, tuttavia, che il TMO da volontario non consanguineo comporta una maggiore incidenza, rispetto ai TMO da fratello HLA-identico, di quella particolare complicanza, specifica proprio di questo tipo di trapianto, che è nota come GvHD (acronimo di Graft versus Host Disease, cioè reazione dell'innesto contro l'ospite). Infatti, poiché con il TMO vengono trapiantate nel ricevente cellule immunocompetenti (cioè in grado di reagire a stimoli antigenici con la formazione di anticorpi sia solubili sia cellulari), queste, una volta giunte nell'organismo del paziente, si trovano in un contesto tessutale molto diverso dal proprio: ne consegue che, essendo dotate di capacità aggressive, possono attaccare (e spesso attaccano) i vari organi e apparati del ricevente, determinando appunto la GvHD: questa sarà tanto più grave quanto maggiori sono le differenze che esistono fra le caratteristiche HLA del donatore e quelle del paziente. A questo punto è necessario dare alcune notizie esplicative. L'impiego delle metodiche di biologia molecolare ha permesso di affinare al massimo la tipizzazione sia del donatore sia del ricevente e di conseguire, quindi, la maggior compatibilità possibile fra i due attori del TMO per quanto riguarda gli antigeni HLA definibili. Va, però, sottolineato che dell'insieme del cromosoma su cui risiedono i geni che danno origine alle caratteristiche di istocompatibilità noi siamo in grado di individuare e identificare alcuni punti (quelli relativi agli antigeni che tipizziamo) ma non il complesso intero e, quando caratterizziamo come HLA-identiche due persone lo facciamo sulla base delle informazioni che ci sono derivate esclusivamente dalle tipizzazioni (più o meno approfondite o raffinate che siano) che abbiamo condotto sugli antigeni noti. Si apre, adesso, un duplice scenario: se le due persone da noi classificate come HLA-identiche sono fratelli, siamo sicuri che esse saranno identiche anche per quelle zone del cromosoma (dove ha sede il complesso maggiore di istocompatibilità) che non siamo stati in grado di esplorare, mentre, se si tratta di due soggetti non consanguinei, abbiamo la quasi assoluta certezza, al contrario, che esse saranno diverse per quei tratti di cromosoma che non abbiamo avuto la possibilità di indagare. Ecco spiegata, quindi, la maggiore incidenza di GvHD nei TMO da volontario piuttosto che da fratello. È, comunque, estremamente importante approfondire al massimo grado possibile le tipizzazioni degli antigeni indagabili, impiegando anche quelle nuove metodiche, quali l'ibridazione di sequenze geniche specifiche, nota come SSOP (Sequence Specific Oligonucleotide Probes) o l'amplificazione del DNA mediante la PCR (Polymerase Chain Reaction), cioè la reazione polimerasica a catena che il progresso della scienza ci ha messe a disposizione. Tali recenti tecnologie si sono dimostrate mezzi estremamente potenti per investigare ancora più approfonditamente tutti i loci HLA, cioè sia quelli di prima classe (HLA-A, B, C) che quelli di seconda classe (HLA-DR/DQ). La constatazione che il TMO da donatore non correlato offre la possibilità di guarigione a pazienti affetti da malattie ematologiche fatali e privi del fratello identico e che i risultati clinici che si conseguono sono praticamente sovrapponibili a quelli che si ottengono con trapianti fra fratelli ha spinto i ricercatori a prendere in considerazione la possibilità di effettuare questo tipo di terapia anche quando la compatibilità fra donatore e ricevente non è totale, in considerazione, soprattutto, dell'alto numero di soggetti che necessitano del TMO e della obiettiva difficoltà di reperire (quanto meno in alcuni casi) un estraneo totalmente compatibile. Una possibile, ma fortunatamente rara, complicazione di un TMO è rappresentata dal mancato attecchimento dell'innesto. Studi condotti proprio dal gruppo di Seattle1 hanno dimostrato che sono soprattutto le differenze fra donatore e ricevente per gli antigeni di classe prima quelle che determinano questo tipo di insuccesso. Qualora, peraltro, a diversità per gli antigeni di prima classe si aggiungano anche differenze per gli antigeni di classe seconda, il rischio di mancato attecchimento viene ulteriormente e notevolmente accresciuto. Nel determinismo della GvHD, invece, sono gli antigeni di classe seconda (cioè gli HLA-DR/DQ) quelli più direttamente coinvolti. Nello stesso studio precedentemente riferito1 i trapiantologi di Seattle hanno revisionato i dati relativi alla compatibilità per gli antigeni DR di 365 TMO da donatore non apparentato: 306 di questi trapianti erano fra soggetti totalmente compatibili per gli antigeni DR, mentre 59 differivano per gli alleli DRB1, denominati DRbeta1 (questa nomenclatura, come, d'altronde, quella DQB1 indica che gli antigeni sono stati tipizzati utilizzando metodiche biomolecolari in grado di identificare gli antigeni portati sulla catena polipeptidica, quella variabile, perché destinata a recare le diverse specificità). L'elaborazione statistica dei dati dimostrava che, in caso di non perfetto abbinamento (o, come si definisce in termine tecnico, di mismatch) per gli alleli DRB1, il rischio relativo di una GvHD particolarmente severa (cioè di III o di IV grado) era significativamente aumentato, così come era anche accresciuto il rischio di mortalità connessa al trapianto. Una situazione pressoché analoga si ripete anche per differenze fra gli alleli DQB1. Fra tutte le malattie ematologiche, la leucemia mieloide cronica (malattia invariabilmente fatale) è quella per la quale è stato eseguito, a Seattle il maggior numero di TMO da donatore non correlato. In una revisione statistica e critica dei dati relativi ai pazienti affetti da leucemia mieloide cronica e trapiantati fra il 1985 e il 1994, studio pubblicato nel 19982, si è potuto costatare che la sopravvivenza a 5 anni da trapianto, in assenza di segni clinici di malattia, era del 56% per i 196 trapiantati in prima fase cronica, del 45% per i 17 pazienti trapiantati in seconda fase cronica, del 42% per i 71 pazienti trapiantati in fase accelerata della malattia e soltanto del 6% per i 35 pazienti trapiantati in fase blastica (la specificazione di queste fasi indica chiaramente il percorso e l'evolversi della leucemia). A maggiore testimonianza del fatto che i migliori risultati si ottengono nelle prime fasi della malattia, sta la constatazione di una sopravvivenza a 5 anni dal trapianto senza segni di malattia nel 74% dei pazienti trapiantati in prima fase cronica entro un anno dalla diagnosi. In altri termini, pur trattandosi di una malattia tipicamente a lunga e lenta evoluzione (di norma 5-7 anni), la leucemia mieloide cronica deve essere curata con il TMO il prima possibile. Ad aumentare le probabilità di buona riuscita di un TMO in questa patologia si sono impiegati nel più recente decennio farmaci antivirali e antifungini di moderna sintesi e di sicura efficacia. Ma anche per essa le differenze per gli antigeni HLA sia di prima sia di seconda classe rappresentano l'indicatore più importante di un probabile insuccesso. Ne deriva che, nella selezione del donatore, debbono essere impiegati i metodi più raffinati e sofisticati di tipizzazione per giungere alla individuazione il più possibile corretta del volontario più idoneo.

  • 1) Petersdorf EW, Gooley TA, Anasetti C et al.: Optimizing outcome after unrelated marrow transplantation by comprehensive matching of HLA class I and II alleles in the donor and recipient. Blood 92: 3515-20, 1998.
  • 2) Hansen JA, Gooley TA, Martin PJ et al. : Bone marrow transplants from unrelated donors for patients with chronic myeloid leukemia. N Engl J Med 338: 962-8, 1998.

Si ringrazia il Prof. Giorgio Reali - consulente scientifico IBMDR - per la collaborazione.

(da Admo Notizie n.14 - Giugno 2000)

Il D. M. 25.11.98 e il suo impatto sulle procedure di ricerca di donatore non correlato

Quadro normativo
Dr. Antonio Moratti - E.O. Ospedali Galliera di Genova


La copertura economica della ricerca di donatore non consanguineo di midollo osseo presso i registri esteri, finalizzata al reperimento di un donatore compatibile per un trapianto allogenico, è trattata dal D.M. 3.11.1989 e successive modificazioni ed integrazioni. La procedura di ricerca è infatti inquadrata tra le prestazioni assistenziali fruibili (in forma indiretta) presso centri di altissima specializzazione all'estero, al pari delle altre indagini non ottenibili nel nostro paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico. Il Decreto del Ministro della Sanità del 25.11.1998 - pubblicato sulla G.U. del 29.1.1999 - ha effettuato un intervento normativo specifico in materia e, prendendo atto dell'operatività dell'I.B.M.D.R. presso l'E.O. Ospedali Galliera di Genova, è stato espressamente previsto che :

  • la spesa della tassa di attivazione della ricerca è a carico dell'assistito ed è versata dallo stesso direttamente all'I.B.M.D.R. di Genova,
  • la spesa per la ricerca all'estero è a carico dell'A.S.L. territorialmente competente, nella misura delle tariffe prefissate dai registri esteri.

Premesso che:

  • per assistenza in forma indiretta si intende quella formula organizzativa per la quale il paziente paga la prestazione richiesta, per poi farsi rimborsare l'importo pagato dalla propria A.S.L. (fatta salva la possibilità, anche in questo caso, di ottenere un'anticipazione dalla medesima),
  • la tassa di attivazione è di L. 320.000 ed è richiesta al paziente, una tantum, all'attivazione della ricerca, a titolo di concorso alle spese generali connesse alla stessa, il decreto del 1998 costituisce un'integrazione di quello del 1989 che aveva per titolo "Criteri per la fruizione di prestazioni in forma indiretta presso centri di altissima specializzazione all'estero". In particolare, costituisce un'integrazione alle deroghe, prevedendo, come detto, che le spese di cui trattasi facciano direttamente capo all'A.S.L. di appartenenza del paziente. In tal senso il decreto del 1998 ha rappresentato una vera e propria modifica all'organizzazione della copertura economica della ricerca di donatore compatibile all'estero, prevedendo il passaggio dalla formula organizzativa dell'assistenza indiretta, per di più parziale (al massimo all'80 %), all'assistenza diretta ed integrale.
Nella modifica al regime di trattamento economico delle spese della ricerca di donatore compatibile all'estero, è stata ed è tuttora fondamentale l'opera dell'I.B.M.D.R.:
  • nel passaggio tra le due formule orgnizzative, in quanto nel precedente regime economico il paziente pagava le prestazioni richieste all'estero al Registro che, al ricevimento delle fatture dai registri stranieri, provvedeva al relativo saldo ed all'eventuale successivo conguaglio nei confronti dei pazienti,
  • nella fase attuale, in quanto l'I.B.M.D.R. continua a pagare le fatture estere alla loro ricezione, procedendo poi al relativo addebito alle A.S.L. di appartenenza dei pazienti.

Come evidenziato, quindi, il passaggio innovativo apportato dal Decreto del Ministro della Sanità del 25.11.1998 - a favore dei pazienti - è stato duplice:

1. da assistenza indiretta ad assistenza diretta, senza oneri per il paziente,
2. da copertura (al massimo) dell'80% della spesa sostenuta, a copertura totale, ad eccezione della spesa di attivazione (L. 320.000) che rimane all'E.O. Ospedali Galliera.

Considerato che l'intervento del Ministro Bindi è stato risolutivo per azzerare le precedenti difficoltà (in capo ai pazienti) collegate alla copertura economica della ricerca di donatore di midollo compatibile all'estero, rimane da augurarsi che il Parlamento sia altrettanto efficace nei confronti dell'I.B.M.D.R. (la cui attività è iniziata nel 1989 e che tuttora trae le risorse economiche per il suo funzionamento da una Fondazione cui partecipano la Nazionale Italiana Cantanti, ADMO e l'E. O. Ospedali Galliera stesso) con l'approvazione del Disegno di legge di riconoscimento dello stesso presentato per la prima volta nella X Legislatura alla Presidenza del Senato il 16.11.1989.


Impatto sulla ricerca
Dr. Nicoletta Sacchi - E.O. Ospedali Galliera di Genova

Il Decreto del 25.11.1998 emanato dal Ministro Bindi, all'inizio dello scorso anno, ha determinato profondi mutamenti nella procedura di ricerca di donatore non consanguineo. A distanza di 12 mesi dalla sua applicazione siamo sicuramente in grado di analizzare questi cambiamenti e di evidenziare come essi siano stati estremamente positivi per tutti i pazienti italiani in attesa di trapianto da volontario non familiare. Il primo effetto immediato è stato sulla tempistica della ricerca. Prima del decreto, gli incombenti economici correlati alla ricerca rendevano imprescindibile associare alle proposte di prosecuzione di ricerca nei diversi registri esteri, i relativi preventivi di spesa. I pazienti, in base all'indicazione del Centro Trapianti, dovevano provvedere direttamente ad effettuare un prepagato, all'Ospedale Galliera di Genova- sede dell'IBMDR- al fine di rendere operativa l'dentificazione di donatori compatibili al di fuori dell'ambito nazionale. Nella migliore delle ipotesi, quando cioè il paziente poteva far fronte alla spesa (il più delle volte di parecchi milioni di lire) la ricerca subiva una dilazione di qualche settimana, nell'attesa che venissero espletati i relativi incombenti economici. Molto spesso, invece, non possedendo le famiglie dei pazienti la liquidità necessaria per far fronte alla somma richiesta, la ricerca rimaneva bloccata, oppure proseguiva, quando possibile, solo sui donatori italiani, nell'affannosa attesa che venisse reperito il denaro necessario. Oggi, grazie alla nuova normativa, appena viene identificato un donatore potenzialmente idoneo (sia esso Italiano o estero), tutte le prestazioni necessarie per confermarne la compatibilità vengono immediatamente richieste, senza alcuna perdita di tempo prezioso. Come secondo effetto il decreto ha comportato un aumento nella richiesta di esami di compatibilità su potenziali donatori esteri e, conseguentemente, un incremento nel numero di pazienti che hanno potuto beneficiare del trattamento trapiantologico. Non più vincolati dall'obbligo di considerare la spesa massima a cui può far fronte la famiglia del paziente, vengono ora richiesti tutti gli esami di compatibilità ritenuti necessari per garantire, con buone probabilità di successo, il reperimento di un donatore. Ovviamente, poiché si tratta comunque di una spesa di denaro pubblico, proprio per ottimizzare l'investimento finanziario, l'IBMDR provvede ad elaborare una strategia di ricerca che aumenti al massimo la probabilità di reperire un donatore compatibile con il minor esborso economico. A riprova di quanto detto, nel corso del 1999 gli esami di compatibilità richiesti sui volontari iscritti presso i registri internazionali sono praticamente raddoppiati, rispetto all'anno precedente (Fig. 1). Conseguentemente, lo scorso anno il 40% in più di pazienti italiani ha potuto essere sottoposto ad allotrapianto da donatore non consanguineo, con un notevole aumento nell'utilizzo di donatori stranieri (Fig. 2).

(da Admo Notizie n.14 - Giugno 2000)

"QUALITÀ DI VITA" IN 244 PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE ALLOGENICHE.

T. Lamparelli, M.T. Van Lint, S. Chiodi, S. Spinelli, F. Gualandi, G. Ravera*, A.R. Petti*, A. Bacigalupo. Dipartimento di Ematologia Ospedale S. Martino Genova. *Dipartimento di Scienze della Salute (Sez. Biostatistica) Università di Genova.


I progressi nel campo del trapianto di cellule staminali emopoietiche hanno reso concreta la possibilità di guarigione in una buona percentuale di pazienti affetti da patologie ematologiche. Se il primo obiettivo del medico e del paziente è stato per lungo tempo sconfiggere il "male", il secondo è stato quello di poter tornare alla fine del tunnel della malattia alla "luce di una vita normale". Pertanto l'esigenza di conoscere approfonditamente l'impatto del trapianto di midollo osseo allogenico sulla qualità di vita ha indotto i centri trapianto a condurre studi su questo argomento. Nel 1995 il nostro centro ha iniziato uno studio retrospettivo sulla valutazione della qualità di vita in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo allogenico, articolato sia sull'analisi dei dati demografici e clinici, sia sull'impiego di un questionario attraverso cui il paziente potesse esprimere il proprio vissuto quotidiano.

PAZIENTI E METODI.

Pazienti: i pazienti considerati eleggibili dovevano avere al momento dello studio un età superiore ai 13 anni ed essere ad almeno 7 mesi dal trapianto allogenico. Dall'aprile 1995 al luglio 1996, 298 pazienti hanno ricevuto il questionario. 251 pazienti (84%) hanno compilato e rispedito il questionario, sette questionari non erano completi, pertanto l'analisi è stata condotta su 244 pazienti. La mediana del tempo intercorso tra trapianto e compilazione del questionario era di 61 mesi. L'età mediana dei pazienti al trapianto era di 28 anni. La tabella 1 mostra le caratteristiche cliniche della casistica.
Questionario: lo strumento utilizzato in questo studio è stato lo "Psychosocial Adjustment to Illness Scale (PAIS)". Questo questionario chiede che il paziente faccia riferimento ai trenta giorni precedenti alla compilazione ed è articolato in più domande suddivise in sette sezioni:

  • I - vissuto della malattia, attenzione posta al proprio stato di salute, rapporto con il personale sanitario
  • II - rendimento scolastico / lavorativo, raggiungimento degli obiettivi prefissati
  • III - rapporti interpersonali all'interno della coppia, rapporto con i figli, impatto economico
  • IV - attività sessuale
  • V - socializzazione e rapporti interpersonali nella famiglia allargata
  • VI - tempo libero
  • VII - emotività. L'elaborazione del questionario permette di assegnare un punteggio sia per la valutazione della qualità di vita complessiva, sia per la valutazione della stessa in ogni singolo settore. Il punteggio è inversamente proporzionale alla qualità di vita (punteggio basso = qualità di vita migliore) Il questionario era stato spedito corredato da una lettera di richiesta di partecipazione allo studio, e di una busta indirizzata al Centro di Statistica Medica per il rinvio del questionario compilato, questo per garantire la privacy del paziente. Inoltre nell'analisi sono stati inclusi dati sia demografici (genere, età al trapianto, stato civile al trapianto e al momento dello studio), sia clinici e trapiantologici (diagnosi e stato di malattia al trapianto, regime di condizionamento, recidiva post trapianto, terapia in atto e grado di reazione al trapianto verso ospite (GvHD) al momento dello studio, presenza di sequele a lungo termine).

RISULTATI

La mediana globale del punteggio PAIS era 56 (range 22-76); nel 25% dei pazienti il valore era <= 25 ( buona qualità di vita), nel 44 % era tra 26 e 75 (discreta qualità di vita), nel 31% era maggiore di 75 (scadente qualità di vita).
Effetto intervallo dal trapianto: abbiamo suddiviso i pazienti in due gruppi a seconda che l'intervallo questionario/trapianto fosse inferiore (gruppo A) o superiore (gruppo B ) a 60 mesi (5 aa) e la percentuale di pazienti con una buona qualità di vita passava dal 12% del gruppo A al 38% del gruppo B.
Effetto combinato età ed intervallo dal trapianto
Per verificare se l'età al trapianto avesse una influenza sulla qualità di vita abbiamo suddiviso i pazienti sia del gruppo A sia del gruppo B in base all'età al momento del trapianto: superiore od inferiore ai 25 anni. Nel gruppo A il 25% dei pazienti giovani ha una buona qualità di vita, mentre tale situazione è presente solo nel 7 % dei pazienti con età superiore ai 25 anni. Nel gruppo B il numero dei pazienti giovani con buona qualità di vita sale al 39%, e i pazienti con età superiore ai 25 anni raggiungono il 35%. Quindi i giovani mostrano un migliore recupero a breve termine, ma anche i pazienti con età superiore ai 25 aa hanno le stesse probabilità di avere una buona qualità di vita dopo cinque anni dal trapianto.
Effetto combinato età, genere ed intervallo dal trapianto
Nel gruppo di pazienti con età inferiore a 25 anni il 22% dei maschi ed il 30% delle femmine ha una scadente qualità di vita sia prima sia dopo i cinque anni dal trapianto. Nel gruppo di pazienti con età superiore il 38% dei maschi ed il 46% delle femmine ha una scadente qualità di vita entro i 5 anni dal trapianto, dopo le percentuali calano al 19% e al 24% rispettivamente.
Sequele a lungo termine
Al momento dello studio 49/244 (20%) dei pazienti non presenta effetti collaterali tardivi, 195/244 presenta uno o più dei seguenti problemi: disfunzioni gonadiche (72%), cataratta (34%), disfunzioni epatiche (10%), secondo tumore (2.5%). 209 pazienti presentano GvHD cronica, 80/209 di grado esteso. La recidiva della malattia si è verificata in 28 pazienti.
Conclusioni
In questo articolo sono presentati i risultati relativi alla valutazione globale della qualità di vita, e non quelli relativi all'analisi delle singole aree esaminabili attraverso il questionario. L'analisi multivariata dei dati evidenziano che i fattori che correlano con una scadente qualità di vita sono: l'età superiore ai 25 anni al trapianto, la presenza d'effetti collaterali tardivi, la presenza di GvHD cronica ed il breve intervallo dal trapianto. Una scadente qualità di vita e' presente nel 31% della nostra casistica, ma il 69% dei pazienti conduce una vita normale (25%+44%). Il Registro Europeo EBMT ha recentemente pubblicato i risultati sulla qualità di vita in 798 pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo con un periodo di osservazione di almeno 5 anni. Si tratta di uno studio multicentrico retrospettivo basato sull'analisi di dati demografici, clinici e trapiantologici integrati a dati sullo stato di salute e sulla reintegrazione sociale dei pazienti. Le condizioni cliniche erano espresse secondo l'indice di Karnovsky presente al momento dell'ultima visita medica. La reintegrazione sociale valutava la ripresa a tempo pieno dell'attività scolastica o lavorativa. Un indice di Karnovsky pari al 90-100% (buone condizioni cliniche generali) era presente nel 93% dei pazienti; il ritorno alla propria occupazione era presente nell'89%. 32 pazienti, nonostante un indice di Karnovsky pari al 90-100% non aveva ripreso a tempo pieno la propria attività; 9 pazienti avevano ripreso a tempo pieno la loro attività nonostante un indice di Karnovsky pari all'80% . I risultati del nostro studio riflettono la visione che lo stesso paziente ha sul proprio stato di salute, sui rapporti interpersonali, sulla sua situazione economica ed occupazionale. L'effetto "tempo" giuoca un ruolo importante sulla ripresa dello stato di benessere fisico e psicologico in tutti i pazienti. Dopo i cinque anni dal trapianto anche le categorie più penalizzate (età superiore ai 25 anni e genere femminile) hanno un miglioramento significativo della qualità di vita. Si deve sottolineare che questo studio e' di tipo retrospettivo e pertanto non e' stato possibile confrontare i dati relativi alla qualità di vita nello stesso gruppo di pazienti pre malattia, pre e post-trapianto. I risultati descritti sono la somma della capacita' fisica a svolgere la propria attività (stato di salute clinico) e del vissuto psicologico del paziente
Bibliografia

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(da Admo Notizie n.14 - Giugno 2000)

Segnalazioni dei volontari IBMDR giunti alla donazione di midollo osseo

Dr. Nicoletta Sacchi
E. O. Ospedali Galliera di Genova


Dal 1990 ai volontari giunti alla donazione viene richiesto di compilare, in maniera anonima, un modulo attraverso il quale hanno la possibilità di esprimere le loro impressioni e fornire suggerimenti per migliorare il nostro operato. Inizialmente veniva proposta la compilazione del questionario al momento della dimissione dall'ospedale del donatore, cioè il giorno dopo il prelievo. Alla fine del 1998 la Consulta dei Registri Regionali IBMDR ha deciso di proporre lo stesso questionario in due momenti successivi: ad uno e a trenta giorni dalla donazione. Si è ritenuto, infatti, che fosse utile raccogliere impressioni ed eventuali lamentele sia "a caldo", sia dopo un mese dal prelievo, quando il donatore ha la possibilità di fornire risposte più ponderate. Questa nuova procedura è stata applicata a partire dall'inizio del 1999, anno in cui 140 iscritti IBMDR sono giunti al prelievo di sangue midollare. Dei questionari raccolti durante lo scorso anno, quelli completi (cioè compilati alle due date stabilite) sono stati 130, pari al 93%; il 7% mancante è rappresentato da quelli relativi al 30° giorno. Da ciò emerge un dato significativo: una quota di donatori, piccola ma non trascurabile, risulta difficile da ricontattare a più di un mese dalla donazione. Ritenendo invece fondamentale seguire il decorso post-prelievo di tutti coloro che hanno donato, cercheremo, in un immediato futuro, di porre rimedio a questo inconveniente, stimolando gli operatori IBMDR a registrare più di un recapito degli iscritti. Nel corso di 10 anni di attività dell'IBMDR, sono stati raccolte informazioni da 535 donatori su un totale di 571 volontari che si sono sottoposti al prelievo di midollo (la perdita di dati è ascrivibile ai primi anni di attività nei quali la procedura non era stata resa ancora pienamente operativa). Il questionario, come si può vedere dalla copia riportata, è articolato in poche e semplici domande e le risposte ottenute sono riassunte nella tabella 1. Premesso che su 535 donatori il 94% ha descritto in modo più che positivo l'esperienza, abbiamo voluto qui porre in evidenza le segnalazioni negative raccolte, affinché questo ci serva di stimolo per correggere e migliorare il nostro operato. La dolorabilità in sede di prelievo è riportata dalla maggioranza dei donatori e, peraltro, è descritta come contenuta e risolta nell'arco di 2-4 giorni dalla donazione. Sei persone, invece, lamentano un recupero fisico più lento del previsto (da 1 settimana a 15 giorni), riferendo mal di schiena e astenia (al proposito, sembra inutile sottolineare come la sensazione di dolore sia estremamente soggettiva e come venga sopportata in maniera assolutamente personale). Cinque donatori hanno riportato disturbi (nausea e vomito) legati all'anestetico utilizzato, anche questi risolti nell'arco delle 24 ore successive alla donazione. Il 98% degli intervistati ha, però, vissuto serenamente queste sequele, riferendo di essere stato preparato in maniera esaustiva durante i colloqui antecedenti alla donazione a quello a cui sarebbero andati incontro. Una quota di intervistati (5%) lamenta carenze nella struttura ospedaliera in cui si è svolta la donazione. Pur dichiarando la maggioranza di essi di essere stati quasi "coccolati" dal personale infermieristico e medico, denunciano la scarsa qualità dei pasti e ritengono indispensabile trovare una sistemazione più adeguata alla figura del donatore (ricovero in stanza singola e non in mezzo a degenti, sovente affetti da gravi patologie). Purtroppo, malgrado la buona volontà dei sanitari che operano nei centri prelievo, certi reparti ospedalieri hanno, come è ampiamente noto, problemi strutturali tali da non essere facilmente risolvibili. Undici donatori hanno, invece, denunciato insufficienti informazioni da parte del Centro Donatori durante le varie fasi di selezione antecedenti il prelievo di midollo; due di essi, in particolare, hanno riferito di essere stati sottoposti all'intervento senza aver ricevuto chiare spiegazioni su quanto sarebbe accaduto realmente. Queste segnalazioni sono ovviamente molto gravi e ci hanno spinto a prendere provvedimenti affinché tali episodi non abbiano più a ripetersi. Molti degli intervistati (10%) lamentano la mancanza di una regolamentazione dell'assenza retribuita dal posto di lavoro. Attualmente, in carenza di una Legge specifica, il quadro normativo che si ascrive alla donazione di midollo osseo è rappresentato dalla Legge trasfusionale (4/5/1990) n.107, normativa talvolta non pertinente alle peculiarità della tematica. ADMO e IBMDR già da tempo sollecitano l'approvazione di un contesto legislativo specifico che, tra l'altro, permetta una miglior tutela del donatore sia attraverso una copertura assicurativa (alla quale attualmente provvede ADMO) sia garantendo l'assenza retribuita dal lavoro per tutti gli incombenti relativi alla donazione di midollo osseo. Chi compie l'atto della donazione (98% degli intervistati) dichiara di essere psicologicamente molto sereno, convinto di quello che sta facendo e di sentirsi emotivamente molto partecipe alla sorte del ricevente. Per tale ragione egli spesso avverte come troppo restrittivo il vincolo dell'anonimato tra ricevente e donatore. Va ricordato, però che a distanza di qualche mese dal trapianto, il 50% delle coppie donatori/ricevente ha contatti epistolari (rigorosamente anonimi) mediati dall'IBMDR e quindi ha la possibilità di scambiare messaggi ed emozioni. Sullo stesso questionario viene, infine, richiesto se, in caso di seconda donazione, il donatore ha intenzione di rendersi nuovamente disponibile. Il 79% degli intervistati ha risposto affermativamente, il 15% si è riservato di prendere una decisione al momento; solo il 6% (ovviamente sono inclusi i donatori che hanno esternato impressioni fortemente negative) ha espresso il proprio diniego.

Nicoletta Sacchi

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